Non c’è nulla di strano quando per
strada salutiamo con calore qualcuno che poi si rivela uno sconosciuto: il
nostro cervello, infatti, è molto poco accurato nel riconoscere. È fatto per
trattenere l’essenziale di persone, luoghi e cose, e dimenticare il resto.
“Altrimenti non riusciremmo a pensare” spiega Rodrigo Quian Quiroga, direttore
del centro di neuroscienze all’Università di Leicester, che sarà al Festival
della Scienza di Genova il 3 novembre con il suo saggio The Forgetting Machine: Memory, Perception, and the “Jennifer Aniston
Neuron” (BenBella books). “Lo aveva già intuito Borges, quando immaginò
Funes el memorioso, uomo che ricordava tutto ciò che vedeva, ma era incapace di
pensiero. È quel racconto che mi ha spinto a studiare neuroscienze” dice
Quiroga. “E a scoprire che immagazziniamo nella memoria pochissimo di quello
che vediamo: il resto lo ricostruiamo con l’immaginazione quando richiamiamo
quel ricordo. Ecco perché a volte ci sembrano familiari le fisionomie di
persone mai incontrate prima. E vale anche per i luoghi”. Basti pensare al
fenomeno del déjà vu. “Se tra le
poche caratteristiche che abbiamo memorizzato di un ristorante ci sono il
colore delle pareti e delle tovaglie, quando siamo in un locale nuovo che, per
combinazione, ha proprio quei due dettagli uguali all’altro, l’opera di
ricostruzione a posteriori del cervello ci illude di essere già stati in quel
posto. Se invece fossimo come Funes sapremmo subito che si tratta di due luoghi
diversi”. Ma tenere a mente sarebbe faticoso. “Questo è anche il motivo per cui
non bisogna preoccuparsi se, andando avanti con l’età, si dimentica di più.
Succede perché la memoria è diventata meno visiva e più concettuale” spiega
Quiroga. “Un bambino di sei anni leggerà un libro sillaba per sillaba. E la sua
memoria sarà inondata da informazioni. Un dodicenne lo leggerà parola per
parola. Un adulto potrà saltare intere frasi, perché capisce al volo quel che
vuole dire lo scrittore. Da adulti ci serve meno memoria, perché estrapoliamo
di più. Ma questo ci espone al rischio di errori”. Quiroga ne ha trovato
conferma coinvolgendo nei suoi esperimenti dei prestigiatori. “Loro sanno che
ricordiamo pochi dettagli e usiamo la fantasia per unire i puntini, e giocano
su questo per farci credere alle loro magie. Che però spesso non funzionano
proprio con i bambini, la cui memoria è ancora molto visiva”. Un’ultima
curiosità: ma che cos’è il neurone Jennifer Aniston di cui parlerà a Genova?
“In realtà, non è un neurone, ma un gruppo di neuroni che scattano solo per un
concetto (nel nostro esperimento la foto di Jennifer Aniston) o, in parte, per
concetti associati (..). E proprio queste associazioni di concetti
costituiscono scheletro della nostra memoria”.
Giuliano Aluffi – Scienze – Il Venerdì di La Repubblica - 20
ottobre 2017-
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