Quando gli antenati sono dimenticati,
i padri esclusi e le madri assenti, ai giovani non resta che il cibo degli
orfani. La frase di Piero Camponesi, uno dei maggiori intellettuali italiani
della seconda metà del Novecento, fotografa la trasformazione attuale della
nostra società. Al grande studioso, autore di opere fondamentali tradotte in
tutto il mondo come Il pane selvaggio
e Il libro dei vagabondi, il
Dipartimento di Filologia classica e italianistica dell’Università di Bologna e
la città natale, Forlì, dedicano domani e dopodomani due giornate di studio nel
ventennale della scomparsa. Il gusto
della ricerca è un titolo eloquente per un’iniziativa provvidenziale.
Perché un Paese che naviga a vista nelle acque del presente ha bisogno, oggi
più che mai, di recuperare pensieri e visioni del mondo capaci di dare un
orientamento che vada al di là del last
minute, della ricetta mordi e fuggi che oggi dominano incontrastate. E le opere di Piero Camporesi hanno fatto
davvero da bussola della mutazione italiana e non solo. Fissando
l’alimentazione come punto cardinale per discernere e risalire le correnti
della storia. Dalle crudeli ristrettezze del Paese della fame, dove guaritori e
ciarlatani curavano corpo e anima del Quarto Stato, alla metamorfosi borghese
della nazione. Che lui identificò nella figura di Pellegrino Artusi, il Cavour
della gastronomia, che tentò di fare l’Italia a tavola. Fino all’attuale Paese
dei tramezzini. Aborriti dal grande antropologo che, con un anticipo di
trent’anni, intravide in quelle “delizie funeree” la futura razione Kappa
dell’umanità contemporanea.
Marino Niola – Miti D‘Oggi – Il Venerdì di La Repubblica – 20
ottobre 2017 -
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