Nidi Pubblici
Profitti Privati
Le amministrazioni che rinunciano a dare servizi per affidarli a chi ci lucra, nel migliore dei casi sono inefficienti
Sono una coordinatrice di un nido di Roma, una città che, per quanto riguarda il servizio della primissima infanzia, cerca di fare il possibile per azzerare le lunghe graduatorie della lista di attesa, dove ovviamente tutti si riversano per approfittare di tariffe mensili accessibili, stante la forte differenza economica e non solo, delle strutture pubbliche e private.
E spiego qual è la perplessità e il disagio che vivo da un po’ di tempo nel contestare la tendenza, molto diffusa, di affidare a gestioni di affidare a gestioni private strutture comunali, bellissime e nuovissime, date in concessione e gestite dai soliti grandi nomi che poi si dividono magistralmente la grande torta.
Le scuse che vengono messe avanti sono piuttosto ridicole: le strutture sono rimaste chiuse per troppo tempo e si rischia così di non aprirle mai, pensiamo ad azzerare la famosa lista d’attesa, diamole in gestione a chi poi si organizza e pensa alla gestione totale. Già proprio così, arrivo io, vinco la gara e non vi dico come,
metto su il mio personale e attrezzo il tutto in tempi record.
Che vergogna: l’introito mensile così va alla gestione privata e non, come sarebbe ovvio, nelle casse comunali che ne avrebbero davvero bisogno! Qual è il problema se la struttura esiste ed è agibile? Quello di cercare il personale? Arredare il nido? Perché si lascia ciò che è pubblico in mano a chi sappiamo benissimo fa i propri interessi? A questo proposito ci sarebbe molto altro da dire, magari alla prossima lettera.
Laura Cicuti
Il problema dei nidi è una questione molto seria: col gran parlare che si fa oggi, da parte di tutti i partiti, di aiuti e sostegno alle famiglie, si dimentica che l’aiuto fondamentale è quello di concedere alle madri il “tempo”, e non costringerle a interrompere il rapporto di lavoro, soprattutto in questo periodo di crisi, per poter accudire i figli negli anni della loro prima infanzia. A questa ipocrisia dei politici se ne aggiunge un’altra che chiede a gran voce parità di diritti tra uomini e donne (abbiamo persino un Ministero delle Pari Opportunità), quando sappiamo che la prima opportunità per una donna è quella di uscire di casa ed esercitare un’attività lavorativa remunerata che la emancipi dalla condizione di casalinga e la renda partecipe della vita sociale.
Ma anche per questo ci vuole “tempo”, che un’ottima rete di nidi, pubblici o aziendali, potrebbe garantire. E invece questa rete non c’è, obbligando le donne, oltre all’abbandono del lavoro, alla rinuncia alla propria realizzazione. Poi ci si lamenta che non nascono figli in Italia, e però non si creano le “condizioni materiali” che favoriscono la procreazione che pure molte donne desiderano.
Il discorso tuttavia non finisce qui. E, come lei osserva giustamente, alcune amministrazioni si ritengono sensibili a questo problema quando scoprono che nel loro territorio ci sono strutture inutilizzate che potrebbero essere adibite ad asili nido e ad asili per l’infanzia. Avuta questa illuminazione, però, la luce subito si spegne: o perché gli amministratori pubblici non sanno gestire queste strutture – e allora viene da chiedersi perché fanno gli amministratori – o perché hanno amicizie o clientele – e allora siamo alla corruzione, spesso impunita.
E’ ovvio che le imprese private che appaltano servizi pubblici, non lo fanno per sensibilità o solidarietà sociale, ma per trarre profitto. E se esiste un margine di profitto, perché le amministrazioni non se ne avvantaggiano?
Così si appaltano servizi per l’infanzia, si finanziano scuole private, si affidano alla libera iniziativa persino le riscossioni delle tasse, per poi scoprire che qualcuno, come le cronache di questi tempi hanno riferito, si intasca anche le tasse dello Stato che, a quanto pare, lo Stato non è in grado di riscuotere da sé.
La storia che lei riferisce è emblematica di come le amministrazioni non sappiano investire per il bene pubblico, incamerando, al posto delle imprese private, risorse che potrebbero tradursi in un miglioramento dei servizi di cui la cittadina ha estremo bisogno.
E se da qui nascesse quel sentimento pericoloso che oggi chiamano antipolitica, generata non solo dalla corruzione, ma anche dall’inerzia e dall’incapacità delle amministrazioni che preferiscono assegnare ai privati anche quei profitti che, dalla gestione delle strutture appaltate, si potrebbero ottenere?
Umberto Galimberti – Donna di Repubblica – 17-11-12
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