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E mitico è soprattutto Clint Per un pugno di dollari. La professione, se così si può chiamare, fa parte della cultura americana che, come è d’uopo, l’ha celebrata grazie ad Hollywood. E la nobile arte sembra dare così buoni risultati che il Congresso Usa ha deciso di replicarne gli aspetti più rilevanti nella lotta all’evasione fiscale. Il Tax Relief and Health Care Act del 2006, infatti, ha istituito un programma, chiamato Whistleblower (che letteralmente significa “fischiettatore”), per premiare quanti, grazie alle loro soffiate, consentono all’Internal Revenue Service, la temuta agenzia delle entrate di Oltreoceano, di recuperare somme evase.
E il premio è niente male. Quando l’informatore contribuisce in modo sostanziale a recuperare denaro, è premiato con un minimo del 15% del valore acquisito in via definitiva dal fisco, comprensivo di interessi e sanzioni. Il premio, sebbene non ci sia formalmente un tetto, può arrivare fino al 30% della somma e le recenti cronache ci fanno capire come gli incentivi ad informare il fisco siano veramente notevoli. Qualche giorno fa, difatti, L’Irs ha concesso a un anonimo “fischiettatore” la bella somma di 38 milioni di dollari per avere aiutato gli ispettori tributari a smascherare un complesso schema societario per evadere le tasse. L’annuncio è stato dato dall’avvocato del collaboratore di giustizia il cui nome è rimasto anonimo. Anzi, non ci fosse stata la dichiarazione dell’avvocato, la società, una grande corporation tra le prime 250 degli Usa, non avrebbe nemmeno saputo dell’esistenza della talpa! Peraltro, il professionista appartiene ad uno studio (Ferraro Law Firm) specializzato nel tax-whistleblowing, nel fare in modo cioè che al confidente venga riconosciuto il premio dall’Irs: anche i togati dimostrano vero spirito imprenditoriale in America! Ancora più clamoroso l’episodio di inizio settembre, che ha coinvolto Bradley Birkenfield, ex banchiere di Ubs, il quale, avendo scoperchiato una serie di pratiche irregolari della sua banca (conti offschore, segreti aperti da contribuenti americani e persino traffico di diamanti in tubetti di dentifricio), si era beccato nel 2008 una condanna a 40 mesi di prigione. Ma, si potrebbe dire, ne è valsa la pena, poiché il fisco statunitense gli ha riconosciuto la bella sommetta di 104 milioni di dollari come riconoscimento dei servigi resi, un record.
Viriamo sulla nostra sponda dell’oceano Atlantico. Il Parlamento italiano ha appena approvato dopo mesi di battaglie, la legge anti-corruzione in un clima esasperato per i continui scandali politici e finanziari e per la persistente frustrazione dovuta ad un’evasione fiscale che l’Agenzia delle Entrate, nonostante metodi francamente vessatori, stenta non dico a debellare ma nemmeno a contenere a livelli accettabili.
Diventa sensato chiedersi, perciò, se non valga la pena adottare il sistema americano che, d’altronde, il nostro ordinamento ha già sperimentato con un certo successo con i pentiti di mafia e di terrorismo.
Il ragionamento è semplice: quando si verifica un atto corruttivo, il primo dei due che denuncia l’altro non solo ottiene una considerevole riduzione della sanzione penale ma anche una parte della mazzetta. Ripugnante? Forse, ma certamente meno disgustoso del vedere efferati assassini in giro dopo qualche anno grazie agli enormi sconti di pena ottenuti. Inoltre, in questo caso ci sarebbero almeno tre vantaggi molto concreti. Il primo è che sarebbe molto più facile provare la colpa dei delinquenti, con enoreme risparmio di risorse del sistema giudiziario già sovraccarico fino al collasso. Il secondo è che si recupererebbero soldi, si smaschererebbero reati che magari vanno avanti da tempo e si metterebbero in galera dei corrotti (attivi o passivi). Tutte belle cose che non accadrebbero senza la soffiata. Il terzo sarebbe l’effetto dissuasivo. Corrotto e corruttore non hanno una grande stima l’uno dell’altro, sanno di essere entrambi dei poco di buono che però sono legati da quello che i giuristi chiamano factum sceleris, l’accordo malavitoso che li impegna entrambi al silenzio. Sapendo che uno dei partecipanti può invece cantare, farla praticamente franca e guadagnarci pure dei soldi, ci sarebbe un grande freno a corrompere: ricordiamoci che la stima tra scellerati è bassa e nessuno vuole rischiare di andare in penitenziario per la spiata altrui.
L’incentivo funzionerebbe ancor meglio per l’evasione fiscale. Spesso, soprattutto per le grandi evasioni societarie, molte persone sanno o sospettano qualcosa senza essere coinvolte nel disegno criminoso. Lì l’incentivo sarebbe ancora più forte: si incasserebbe la taglia senza alcun rischio penale. E la deterrenza portentosa: l’evasore non potrebbe più fidarsi di nessuno.
Naturalmente bisognerebbe predisporre degli accorgimenti: chi ottiene sconti di pena e poi delinque di nuovo dovrebbe vedere annullati tutti i benefici precedenti ed essere trattato da recidivo. Chi è ingiustamente accusato con dolo o colpa grave, avrebbe diritto a rompere il velo di anonimato che altrimenti proteggerebbe il confidente e chiedere il risarcimento del danno.
In cambio di questo strumento potentissimo, il governo dovrebbe rivedere la normativa fiscale in vigore e renderla sempre coerente con lo Statuto del Contribuente, per evitare, ad esempio, le deplorevoli retroattività della Legge di stabilità o il solve et repete applicato dall’Agenzia delle Entrate. I soldi recuperati dovrebbero immediatamente essere restituiti ai cittadini sotto forma di abbassamento del carico fiscale, evitando i patetici balletti che si son visti finora.
Le tasse non diventerebbero bellissime sol per questo, ma si introdurrebbe un arma formidabile contro corruttori ed evasori, facendo leva sulla loro naturale sfiducia verso i loro consimili e punendo severamente coloro i quali si son fidati lo stesso.
Alessandro De Nicola – La Repubblica – 2-11-12
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