La bohème di Puccini, riassunto e analisi musicale
La bohème è
una delle opere musicali più importanti di Giacomo
Puccini. Si compone di quattro atti, indicati
come quadri.
Il libretto fu scritto Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, ispirato al romanzo di
Henri Murger “Scene della vita di Bohème” (Scènes de la vie de bohème) del
1851. L’opera venne rappresentata per la prima volta il 1° giorno di
febbraio del 1896 presso il teatro Regio di Torino. Quella che segue è
un’analisi dell’opera sia storica che musicale, redatta dal Maestro Pietro
Busolini, di Trieste, che diresse l’opera il 24 aprile 2012 a New York, presso
il Metropolitan Opera House nel contesto del Festival Pucciniano. Il
maestro ha dedicato questa sua ricerca e direzione in memoria dell’amico e
musicista Ulderico Stolfo di Carlino.
Approfondimento
La grandezza di Giacomo Puccini
Le scene più importanti del I atto
Le scene più importanti del II atto
La
genesi della Bohème
Nessun “soggetto” quanto quello di
Bohème era stato più vissuto da Puccini. La “Bohème”, fanfarona ed insolente
l’aveva vissuta al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, se non proprio la fame,
come aveva argutamente scritto il Fraccaroli, Puccini aveva conosciuto tuttavia
quelle sfumature dell’appetito lungamente trascurate che danno allo stomaco un
languore che è sentimentale solamente per i poeti. La “Bohème”, vera, era
passata attraverso la giovinezza del Lucchese prima di ridere e piangere sulla
sua fortunatissima opera.
Narra il Marotti che fu Ruggero
Leoncavallo a proporre a Puccini un suo
libretto intitolato: Vita di Bohème.
Ma Puccini, cui frullavano altre idee per il capo e non conosceva ancora il
romanzo di Henri Murger, oppose un cortese rifiuto senza neppur leggere il
romanzo del collega. Solamente un anno dopo, essendogli capitato tra le mani il
capolavoro di Murge, ed essendo rimasto entusiasta, tanto fece e tanto
tempestò Illica e Giocosa –
aiutato molto dal paterno aiuto del “Sor Giulio” (Ricordi) – che i due
scrittori approntarono il libretto. Crearono versi dolci e melodiosi che
Giacomo Puccini poté così divinamente musicare.
Tralascio quello che successe tra
Leoncavallo, Puccini, ed il buon Giulio Ricordi. Comunque Bohème vide la luce al
teatro Regio di Torino la sera del 1° febbraio 1896, sotto la direzione
di Arturo
Toscanini.
La
grandezza di Giacomo Puccini
La protagonista Mimì, questa sua
creatura timida, modesta, sentimentale, con il suo volto aristocratico, ama
l’amore per l’amore. Dal corpo fragile e malaticcio esce da quella sua anima
sensibile e delicata una maggiore emotività. Ella fu teneramente amata,
accarezzata, curata.
Pensate che Puccini rifece daccapo per
ben quattro volte il IV atto e scrisse al “Sor Giulio” queste parole:
Quando questa ragazza per la quale ho
tanto lavorato, muore, vorrei che uscisse dal mondo meno per sé, e un po’ più
per chi gli ha voluto bene.
E aggiungeva:
Quando trovai quegli accordi scuri e lenti
e li suonai al piano, venni preso da una tale commozione che dovetti alzarmi ed
in mezzo alla sala mi misi a piangere come un fanciullo. Mi faceva l’effetto di
aver visto morire una mia creatura.
Quella sua creatura cosi teneramente
amata fu dileggiata, stroncata da infami giornalisti piemontesi, italiani e
d’oltralpe, con frasi di questo tipo: “Noi ci
domandiamo cosa spinse il Puccini sul pendio deplorevole di questa Bohème“.
I giornalisti tutti, non fecero una gran
bella figura in quell’occasione. è un po’ quello che fecero anche i colleghi d’oltralpe,
usi a dileggiare i nostri grandi compositori. Ma la risposta al genio –
semplicemente al genio – cui l’Italia, l’Europa, il Mondo diede, fu: “GLORIA!”
Questa parola, non lasciò mai più
Puccini, ne allora, ne ora, ne mai.
Analisi
musicale
Con “Bohème”, per la prima volta
avvertiamo in Puccini la sua inclinazione alla pittura musicale di minuti
particolari, capace di far balzare gli oggetti inanimati al livello della vita
poetica. Il gaio tremolare delle fiamme nel caminetto, l’acqua che Rodolfo
spruzza su Mimì svenuta, il raggio di sole che cade sul viso della fanciulla
morente, e così via.
E’ forse in questa sfera che il suo
stile di musicista da camera dà i risultati più squisiti. Egualmente degna di
nota è la calcolata scelta degli strumenti per la caratterizzazione di
personaggi e di scene. Soprattutto archi per Rodolfo e Mimì. Legni per Musetta
e per gli altri bohémiens. Piena orchestra, con effetti particolarmente
brillanti negli ottoni, per il “Quartiere Latino”, e complesso da camera per le
scene d’intimità tra gli amanti.
Ne è un esempio particolarmente
memorabile la morte di Mimì con
le sue mezze luci-sottofondo di archi legni ed arpa e passaggi a solo, così
tenui come le linee di una stampa giapponese. Lo stile melodico ha un carattere
sempre più libero, quasi d’improvvisazione. Le frasi tendono a straripare da
schemi regolari. Nelle scene comiche prevale l’aforisma, che aggiusta così le
esigenze del pucciniano mosaico.
Tutte cose, queste, che contribuiscono a dare impressione di spontaneità e
naturalezza.
L’ARMONIA
Nell’armonia osserviamo tocchi
puntilistici, dissonanze spesso risolte in modo ellittico, specialmente alla
fine di una scena dove una pausa permette ad un’armonia di svanire prima che
risuoni l’armonia successiva. E come si è notato già nella Manon Lescaut –
sebbene lì avesse solo un carattere sperimentale, le successioni armoniche sono
elevate al grado di temi caratterizzati, spesso consistenti in un semplice
seguito di quinte parallele. Come nel tema del presentimento di morte o in
quello dei fiocchi di neve.
Tuttavia, nonostante tutta questa
libertà nel linguaggio armonico, Giacomo Puccini organizza la costruzione
facendo perno su alcune tonalità principali, credendo nel simbolismo drammatico
delle relazioni fra una tonalità e l’altra. Così il primo atto è centrato,
sostanzialmente, sulla tonalità di do
maggiore.
Il secondo atto comincia
in fa maggiore e
finisce in si bemolle maggiore.
Il quarto atto,
che porta alla tragica conclusione, si muove dal do maggiore al do diesis minore.
I
personaggi
Le principali dramatis personae sono Rodolfo e Mimì. A loro logicamente è
riservata la porzione maggiore della musica. Il giovane poeta si presenta col
famoso: “Nei cieli bigi”
che ricordiamo fu tolto all’incompiuta “Lupa”, mentre ora è messo in relazione
con “cieli bigi”
e “sfumar di comignoli“.
Questo è uno dei molti casi in cui Puccini usa frasi legate ad altri suoi
personaggi incompiuti, per far risaltare lo stato d’animo di un altro
personaggio o di un’altra situazione – in questo caso l’esuberanza di Rodolfo.
Rodolfo
Nei cieli bigi guardo fumar dai mille
comignoli Parigi, è il Leitmotiv di Rodolfo. Per il
completo ritratto del romantico innamorato, dobbiamo attendere l’incontro con
Mimì e la sua grande aria – in realtà due arie collegate. Ascoltiamo questo
fragor di sentimenti, di estasi appassionata, colma di tenerezza in: Che gelida manina,
una delle melodie più pure e fragranti che Puccini abbia mai immaginato.
Non conosco nessuno che abbia descritto la Parigi di
quel tempo tanto bene come Puccini in Bohème. (Claude Debussy)
Inizia salmodiante in pianissimo, con gli archi in
sordina, che intorno alle linee vocali, fanno dolcemente continuare l’assolo
dell’arpa. Rodolfo dopo l’arioso: “Chi son“,
prosegue descrivendo la sua povera vita di poeta con In povertà mia lieta.
Dopo il quale prorompe con ardore appassionato in: Talor dal mio forziere, ruban tutti i gioielli,
e questo d’ora in avanti simbolizzerà l’amore romantico.
Per tutta l’opera della Bohème, la
musica di Rodolfo è caratterizzata da simili salti introdotti da anacrusi,
movimenti per gradi diatonici con continui mutamenti del taglio ritmico e terzine
emotive.
Mimì
Fantastico è anche il quadro musicale
che ritrae Mimì da: Mi chiamano Mimì,
steso in forma di un libero rondò, nel quale Puccini con finezza psicologica
mette in rilievo i diversi aspetti del carattere della fanciulla.
La semplicità infantile, che è il suo
tratto fondamentale, è subito enunciata nel suo Leitmotiv. Nettamente Puccini
fa una distinzione tra la sartina che adempie ai suoi banali doveri quotidiani
e la romantica fanciulla che sogna una primavera. Per esempio nell’espansivo: Ma quando vien lo sgelo,
che è il momento centrale di questo mosaico di ariette. E come è
psicologicamente vero il semplice parlando Altro di me, con il quale
conclude senza enfasi il suo ingenuo racconto.
Musetta
Nel ritrarre, la seconda coppia di
amanti, Puccini fa di Musetta un personaggio musicalmente più articolato di
Marcello. Lei è insinuante, civetta, candidamente fiera del suo potere di
attrazione su tutti gli uomini. Ed è mirabilmente colta nel suo famoso valzer,
che si adatta alla sua persona come un guanto.
Marcello,
Schaunard e Colline
Marcello, bisogna ammetterlo è trattato
piuttosto sotto gamba. Non ha un’assolo, lo si sente solamente in un quartetto
ed in un duetto.
Con i suoi amici Schaunard e Colline,
più che come personaggio singolo – Murger invece l’aveva dipinto diversamente.
Marcello è l’espressione dello spirito collettivo dei bohémiens. Tutti e tre
sono spesso accomunati nel tema della Bohème che Puccini prese dal suo Capriccio. Sin dalla sua idea
iniziale riconosciamo l’impetuosa linea tematica dell’opera, trasportando un
tema da un lavoro scritto dieci anni prima. Senza cadere in alcuna discrepanza
stilistica, ricordiamo che il Capriccio è
stato una miniera anche per l’Edgar,
per Manon Lescaut e Turandot.
Quindi, ritornando ai nostri tre
moschettieri, trovo abbastanza singolare che Schaunard e Colline, sebbene
personaggi meno importanti del collerico amante di Musetta, abbiano al
contrario un loro Leitmotiv. Il musicista ha una specie di rapida marcia
francese; il filosofo ha una frase burbera e lapidaria.
Le
scene più importanti del I atto
Il segno distintivo di Bohème è
nell’incessante intrecciarsi di azioni ed atmosfere che dà a Puccini un nuovo
titolo, quello di Prestigiatore.
Tutto sembra il prodotto di un’improvvisa ispirazione, ma analizzando, questo
non è altro che un piano ben organizzato con una sua coerenza musicale e dei
contrasti musicali. Voglio ricordare i vari temi dei “bohémiens” e di Rodolfo,
in funzione di ritornelli in mezzo ad un continuo fluire di idee, episodi a sé
stanti. Vi sono: una graziosa descrizione delle fiamme saltellanti che divorano
il manoscritto di Rodolfo, accordi di quinta e sesta sovrapposti con sapore di
bitonalità – sol bemolle maggiore contro mi bemolle minore.
Ricordiamo la deliziosa canzone di
Natale Quando un olezzo,
di sapore arcaico con le sue quinte parallele a mo’ di organum, e reminescenze
di un noèl francese. Con il timido bussare di Mimì l’atmosfera cambia di colpo:
l’orchestra insinua furtivamente e lento, il tema di lei e ci dice chi è che
bussa.
Le luci sfavillanti della prima metà dell’atto
si abbassano, diventando calde e soavi. Si dispiega la scena d’amore e gli
archi prendono il posto dei legni, le tonalità diventano più stabili e
l’effervescente parlato dei quattro bohemièns fa luogo a melodie lente e
sostenute.
LA SECONDA METÀ DELL’ATTO I
Questa seconda metà del primo atto ci fa
capire il climax poetico pucciniano, costruito per gradi fino alla scena
d’amore, comincia con una conversazione svagata, seguendo sempre il tema della
malattia di Mimì, un sinistro presagio.
Le incalzanti domande di Rodolfo e le
brevi risposte della fanciulla son solo chiacchiere. Ma mai chiacchiere ebbero
una veste musicale più incantevole.
Una frase spezzata di arioso, qualche
pausa, un leggerissimo ostinato affidato al pizzicato degl’archi, questo è tutto.
Sentiamo quasi all’unisono il battito dei cuori dei due giovani amanti.
Fantastico. Unico.
Successivamente vi è la ricerca della
chiave perduta: ancora un banale incidente, poi la musica si fa ricca di calore
e sostanza, e porta con una dolce transizione alla parte centrale del duetto,
cioè alle due arie di cui abbiamo già parlato.
Puccini ora, con sottile senso
d’equilibrio, cambia atmosfera, fa seguire immediatamente due arie di un duetto
vero e proprio. Ancora i due amanti non hanno cantato assieme, cosa che avrebbe
potuto generare monotonia. L’azione però è disturbata dagli altri bohemiéns che
aspettano Rodolfo in strada.
Dopo questa interruzione il duetto che
segue, costruito interamente su reminiscenze dell’aria di Rodolfo, unisce
infine gli innamorati in un abbraccio appassionato al suono del tema
dell’amore: Talor dal mio forziere….
Essi escono lentamente dalla scena,
mentre l’orchestra intona la melodia della Gelida manina, sussurrandola. E
purtroppo dobbiamo dire che questa frase scritta dal Maestro in “pp
perdendosi“, molte volte è ignorata da parte dei cantanti ed alcuni tenori
hanno anche voluto correggere il Maestro raddoppiando il do acuto di Mimì, mentre la loro nota
finale dovrebbe essere in mi,
una sesta sotto.
La delicata poesia di questa scena,
Puccini non la superò mai.
Le
scene più importanti del II atto
Analizziamo ora il Secondo atto, quello
del Quartiere latino.
Ad eccezione del valzer di Musetta, non ha una inventiva altrettanto memorabile
del primo atto. Il suo maggior rilievo è nella evocazione della vigilia di
Natale su un boulevard parigino. Con l’interesse che si sposta continuamente
dalla folla ai solisti e viceversa, unendosi poi tutti nel gran finale della
parata militare.
E’ in realtà in contrasto con la dolce e
tenera intimità del primo atto, questa sua musica All’aperto. Ricorda l’aria
vibrante ed allegra di una fiera natalizia.
Questa apparente confusione con le scene
che si succedono le une alle altre, non inficia in alcun modo lo spessore
musicale consistente in quattro sezioni distinte, ognuna con il proprio
materiale tematico, anche con interferenze dall’una all’altra e con le ultime
tre scene radicate in tonalità ben definite.
L’atmosfera generale è
subito creata dal tema della vigilia di Natale enunciato da tre trombe –
marcatissimo – e sostenute dalle grida del coro. Nelle scene successive
troviamo da un lato la musica del Quartiere latino, le multicolori grida della
strada, le eccitate accoglienze dei ragazzi a Parpignol ed ai suoi giocattoli,
e dall’altro i lirici episodi nei quali emergono i bohémiens.
Notiamo il pigro tema della passeggiata
e l’estatico: “Dal mio cervel“,
di Rodolfo, che varia abilmente il Leitmotiv – del poeta. Un fatto che in
teatro spesso non si bada è quando Rodolfo presenta la sua ragazza agli amici:
“Questa è Mimì gaia fioraia“,
e l’orchestra suggerisce il tema del presentimento di morte del III atto.
LE SEZIONI II E III
La seconda sezione apre
con l’entrata di Musetta con una tonalità di la bemolle completamente
dominata dal tema di lei.
Con la terza sezione in mi
maggiore arriviamo al centro lirico dell’atto, costituito dal
seducente valzer di Musetta, cantato prima come assolo – anche se con le solite
interruzioni degl’altri personaggi – e più tardi ripetuto in sestetto a
chiusura della scena. Unico pezzo d’insieme è il sestetto, un brano ammirevole,
ma Puccini non affronta i caratteri individuali. Solamente Musetta è dipinta
con il suo melodizzare a lunghi intervalli e la sua rapida sillabazione in
“staccato”.
Sebbene il fatto che Marcello raddoppi
la melodia del valzer, và indubiamete inteso come una sua capitolazione davanti
alle seduzioni della sua volubile amante.
Il finale dell’atto è
abilmente legato al rullo dei tamburi della parata che si avvicina – ma fuori
scena – ed alle note del valzer che si spengono lentamente. Quest’ultima
sezione è basata su un’autentica marcia francese del tempo di Luigi Filippo.
E raccoglie a mo’ di mosaico i frammenti dei temi precedenti.
Il
III atto
Quando ci troviamo dinanzi al terzo atto
della Bohème di Puccini ogni
discussione diventa oziosa: la bellezza di quelle pagine s’impone e, ciò che
più conta, la commozione ci afferra e ci dispensa, ipso facto da ogni altra
cavillosa considerazione.
Egli ha sentito la musica di quest’atto
introspettivamente, ha sentito i personaggi, si è realmente commosso e di
contro è riuscito a commuoverci. Il primo accenno lo troviamo nell’introduzione
orchestrale, che evoca una pallida mattina di febbraio con mezzi che non
potrebbero essere più semplici ed efficaci. Su una quinta dei violoncelli in
tremolo, che si prolunga come pedale per oltre cento battute, è una successione
di quinte parallele dei flauti e dell’arpa che suggeriscono il cader della
neve.
Come nel terzo atto dell’opera Manon Lescaut un momentaneo
tocco di gaiezza è introdotto dalla comparsa del lampionaio, ma avremo un
perfetto quadro della situazione nel momento in cui noi vedremo le luci dei
cabaret e sentiremo i canti ed il suono del valzer di Musetta, coniugarsi
perfettamente con la musica gavoteggiante delle lattivendole e la presenza dei
doganieri.
SCENE SUCCESSIVE
Nelle scene successive altri lineamenti
si aggiungono ai tratti di Mimì e Rodolfo. Duettando con Marcello: “C’è Rodolfo?“,
con le sue frasi discendenti, gli esitanti sincopati e le nervose terzine, la
fanciulla palesa la sua angoscia per i mutati sentimenti dell’amante.
D’altro canto, vediamo Rodolfo passare
attraverso sentimenti diversi, impazienza, amarezza, gelosia; ma
obbiettivamente la musica qui non esprime con chiarezza questi sentimenti, né
tantomeno è ispirata, tranne per la sezione in minore: “Mimì è una civetta“,
un lamento appassionato sulla vena di: “Manon, sempre la stessa“, di Des
Grieux.
Ora Rodolfo sopraffatto dalla
disperazione, rivela a Marcello la mortale malattia di Mimì, qui Puccini si
mostra all’altezza della situazione con: “Mimì è
tanto malata“, questo melodiare molto scuro
dell’orchestra ci suona come una campana a morto. La tensione in scena aumenta
in quanto Mimì, ascolta non vista le parole di Rodolfo ed apprende quale triste
fine l’attende. La musica per l’addio definitivo: “Addio dolce svegliare“,
è tolta dalla canzone: “Sole e amore“,
scritta da Puccini nel 1888 per la rivista “Paganini”.
La canzone viene ripetuta due volte e
con un efficace contrasto nella ripresa, quando il duetto si muta in quartetto
per l’irrompere sulla scena di Musetta e Rodolfo trascinando anche il loro
furioso battibecco,
l’ennesimo dei loro eterni litigi. L’atto termina in un clima tranquillo sulla
falsariga del primo, con Mimì e Rodolfo che si avviano all’uscita della scena:
“Mano nella mano”.
Il
IV atto
Analizzando ora il quarto atto
della Bohème di Puccini troviamo
la scena e la struttura del primo, con la differenza che questa volta la prima
metà dell’atto ha un che di febbrile, un’allegria sopra le righe, come se i quattro
bohémiens presentissero vagamente l’imminente tragedia nascondendo il loro
disagio in una ilarità artificiale.
Ora i ritmi sono più nervosi, le frasi
più frammentate e l’orchestrazione più rude, a volte aspra, con gli ottoni
frequentemente in azione, specie dopo che Schaunard e Colline hanno raggiunto
gli altri due amici. Puccini, però prima di immergersi in questa atmosfera di
forzata gaiezza, inserisce uno di quei suoi quadretti poetici tanto
caratteristici del suo stile drammatico. Cioè il grazioso episodio in cui
Rodolfo e Marcello contemplano con nostalgico affetto gli oggettini che ancora
conservano delle loro infedeli amanti.
Lo squisito duetto, tenero e sognante,
costituisce una momentanea evasione dalla realtà e Puccini sembra sottolineare
il suo carattere parentetico ossia di parentesi, in questo contesto di parole.
Dopo aver riassunto in un breve postludio orchestrale – un melanconico stato
d’animo – la melodia viene ripresa in ottava dal violino solo e violoncello
solo, echeggianti rispettivamente le voci di Rodolfo e Marcello che l’autore ci
riporta a terra con il: “Che ora sia“,
di Rodolfo.
Con poche eccezioni: una il duetto di
cui abbiamo testè parlato, la musica del quarto atto e fatta da reminiscenze.
Procedimento aspramente avversato agl’inizi, da critica e pubblico.
LA NARRAZIONE DELL’ORCHESTRA
Ma il modo con cui Puccini impiega temi
e motivi dei primi due atti – allegri – nel nuovo contesto è psicologicamente
sagace e logico. Ora il dramma ci viene narrato principalmente dall’orchestra.
Basti citare il violento scarto dall’accordo di si bemolle a
quello di mi minore quando Musetta entra in scena
inaspettatamente portando la notizia dell’imminente arrivo di Mimì. O la
seguente versione del Leitmotiv di Mimì, ormai l’ombra di se stessa, affidata
al corno inglese ed alle viole sui brividi del basso. O ancora il successivo
racconto di Musetta del casuale incontro con la fanciulla morente, accompagnato
da sincopati che sono come battiti spasmodici di un cuore angosciato.
Ora l’orchestra rivela allo spettatore
quello che gli stessi personaggi ancora ignorano. Così l’improvviso passaggio
dal re bemolle maggiore al si minore dopo le
ultime parole di Mimì, ci dice già che il suo sonno non avrà risveglio. Quando
poi verso la fine dell’opera Rodolfo chiede in tono di sgomento: “Che vuol dire quell’andare e venire.. quel guardarmi
così?…“, l’orchestra sola gli dà la risposta, con la sua
straziante trenodia.
Il
finale
Puccini non sarebbe stato Puccini se non
avesse immortalato gli ultimi momenti di Mimì con una delle sue più ispirate
melodie mai uscite prima dal suo “essere” di poeta e musicista. Il “Sono andati“, è l’incarnazione
della tristezza, con una sua linea vocale che discende per un’ottava tutti i
gradi della scala fino al do basso del soprano, incupita dal
raddoppio dei violoncelli e sostenuta dal singhiozzo di funebri accordi.
Più invecchio, più mi convinco che La bohème è un
capolavoro e che adoro Puccini, il quale mi sembra sempre più bello. (Igor Stravinsky)
Egli ripete quindi questo tema così
penetrante nell’epilogo orchestrale. Proprio alla fine dell’opera, dove esplode
a piena orchestra con tutta la sua forza. Introdotto dagli accordi degli
ottoni, che si abbattono sullo spettatore come una lama di una ghigliottina.
Dopo la vibrante melodia in do
minore, Mimì con le sue ultime forze canta l’ardente frase: “Sei il mio
amor“. Via via che la vita l’ abbandona, la musica diviene più trasparente
e tenue. Si riduce poi ad un sussurro quando la fanciulla ricorda il suo primo
incontro con Rodolfo in quella lontana notte di Natale. In quest’attimo
l’orchestra ripropone la frase della: “Gelida
manina“, con colori di incorporea bellezza.
Davvero pochi finali d’opera, compreso
quello della Traviata,
arrivano ad uguagliare il pathos della “Bohème”, ed il suo potere di
commozione.
https://cultura.biografieonline.it/boheme-puccini/
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