Dopo tanto scetticismo la ricerca
scientifica conferma: l’uso delle tecniche orientali di meditazione può
prevenire e curare molte malattie
Fino agli Anni
’50 la meditazione è stata
prerogativa dei monaci. Poi con i Beatles diventò pratica dei figli dei fiori,
seguiti negli anni successivi da calciatori e attori: meditano Roberto Baggio e
Richard Gere. In tempi più recenti è stata la volta degli amministratori
delegati delle grandi multinazionali: Rao Dalio (Bridgewater associates) e Marc Benioff (Oracle e Salesforce.com). E oggi si
è dato alla meditazione persino Dmitry A. Medvedev, primo ministro della
Federazione Russa.
Da qualche
anno però la meditazione non si occupa più solo di “benessere psicologico” ed è
entrata negli ospedali con molte applicazioni: dal controllo del dolore
all’immunologia, dalla cura dell’ipertensione al rallentamento del declino
cerebrale.
In che cosa
consiste? Che risultati dà e con quali meccanismi agisce?
IN PRINCIPIO. Tutto è
iniziato una trentina di anni fa quando Jon Kabat Zinn fondò il Center for Mindfulness all’University
of Worcester (Uk) e cominciò a usare la meditazione come strumento terapeutico.
Strumento tutt’altro che facile da proporre: nella frenetica vita contemporanea
la meditazione di tradizione orientale è pratica difficile. Ma i suoi vantaggi
non sono più in discussione: migliora l’attenzione, le abilità cognitive e la
memoria, riduce l’ansia e i sintomi depressivi. Non solo.
Alla Brown University di
Providence (Usa), Catherine Kerr sfrutta la meditazione per il suo effetto
analgesico: sostiene che funziona come una specie di manopola che regola la
percezione delle sensazioni sgradevoli. Nel 2010, quando era al Mit di Harvard,
ha dimostrato che, se si focalizza l’attenzione sulle sensazioni della mano
sinistra, la “mappa” cerebrale corrispondente a quella mano registra una
significativa caduta dell’ampiezza delle onde che filtrano le sensazioni
lasciando passare solo quelle che superano una certa soglia.
Se invece
l’attenzione si focalizza su un’altra parte del corpo, le onde tornano normali.
L’anno successivo, usando la magneto-encefalografia, una tecnica di imaging
cerebrale, ha dimostrato che i ritmi di queste onde nel cervello sono correlati
con l’attenzione sensoriale e che l’abilità di regolare queste onde nella
corteccia cerebrale è maggiore nei soggetti capaci di meditazione.
In altre
parole, meditare consente un maggior controllo sul sistema sensoriale e
permette di scegliere su cosa focalizzare l’attenzione. Risultato? La
meditazione fa andare sullo sfondo quello che non si vuole sentire, per esempio
– e non è poco – i dolori cronici.
Fadel Zeidan,
neurobiologo della Wake
Forest Baptist University(Usa), ha persino quantificato l’effetto
della meditazione rispetto al potere analgesico della morfina: «Potrebbe
ridurre del 40% l’intensità del dolore e del 57% la sua spiacevolezza, contro
una riduzione del solo 25% ottenuta con la morfina» sostiene Zeidan.
ANTINFIAMMATORIO. Molte malattie cardiovascolari e
neurodegenerative sono legate a uno stato di infiammazione di cui non si
conosce esattamente né l’origine né la cura: se si riuscisse a ridurre lo stato
infiammatorio forse le si potrebbe prevenire. È la strada percorsa quasi per
caso da Steven Cole, dell’University
of California Los Angeles(Ucla): voleva studiare se la meditazione
fosse in grado di ridurre la sensazione di solitudine degli anziani, condizione
che aumenta il rischio di malattie cardiache, Alzheimer, depressione e persino
morte prematura.
Così ha messo
una quarantina di soggetti in meditazione mezz’ora al giorno per 8 settimane.
Ma presto ha scoperto che questa “terapia” non si limitava a influire sul
benessere psicologico: la meditazione riduceva anche l’attivazione dei geni
correlati all’infiammazione e quindi riduceva l’infiammazione stessa.
Il passo è
breve anche per valutare gli effetti sul sistema immunitario. La meditazione
sembra essere efficace anche su un particolare tipo di globuli bianchi, i
linfociti CD4 T. Sono considerati il cervello del sistema
immunitario perché coordinano l’attività dell’esercito di difesa quando
il corpo subisce un attacco infettivo. Ma sono anche le cellule che devasta il
virus Hiv, responsabile dell’Aids, indebolendo la risposta immunitaria dei
pazienti.
Nel 2008 David
Creswell, del Counsins
center for Psychoneuroimmunology della Ucla, ha messo in
meditazione per 8 settimane un gruppo di 24 soggetti sieropositivi (cioè
infetti, ma non malati di Aids), confrontandoli con un equivalente gruppo di
controllo. Nei soggetti in meditazione la riduzione dei linfociti CD4 T
era inferiore rispetto al gruppo di controllo: l’effetto era della stessa portata
in tutti i 12 meditanti, sia quelli in terapia antiretrovirale, sia in quelli
che non lo erano.
La meditazione si rivela un toccasana in
molti campi. Sembra essere efficace persino contro il raffreddore: Bruce
Barrett, dell’University of Wisconsin (Usa), ha studiato la meditazione su 51
individui e ha calcolato che chi fa meditazione ha una riduzione del 40-50%
delle giornate lavorative perse per infezioni respiratorie acute, influenza
compresa, rispetto a chi non medita. La durata della malattia è minore e i
sintomi sono più lievi.
CARATTERE. Che
meditare possa placare gli animi più agitati sembra banale, ma si è accertato
che gli effetti sono ben più rilevanti e profondi. Prendete quelle che per la
psicosomatica sono personalità di tipo A: competitive in tutti gli aspetti
della vita, tendono alla lotta, manifestano aggressività (anche se repressa),
impazienza, insofferenza per i ritmi altrui.
Di solito si tratta di individui di
successo, ma con un rischio maggiore di patologie cardiovascolari. Circa 30
anni fa Herbert Benson, cardiologo del Massachusetts general hospital di
Boston (Usa) e fondatore del Mind/Bondy Medical Institute, aveva
cominciato a usare il rilassamento e la meditazione in questo tipo di pazienti.
Altri cardiologi come Randy Zusman,
direttore del programma ipertensione del Massachusetts general hospital, non
credevano affatto all’efficacia di questi metodi e continuavano a prescrivere
farmaci anti-ipertensivi. Dal 2008, anche Zusman ha cambiato rotta e ora punta
sulla meditazione e sul corretto stile di vita.
L’ha convinto una sperimentazione su 60
pazienti ipertesi: in 40 la meditazione aveva ridotto l’ipertensione tanto da
consentire un drastico calo dell’assunzione di farmaci. Zusman ha anche trovato
una spiegazione biologica: «L’ipertensione è tutto un problema di tubature: se
il calibro dei tubi è stretto la pressione sale, se il calibro si allarga la
pressione scende: il rilassamento produce monossido di azoto che fa dilatare i
vasi sanguigni e quindi fa scendere la pressione». Non è sempre facile far
stare ferme e in silenzio personalità di tipo A per mezz’ora. Ma funziona.
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