Di tutte le figure che hanno
contraddistinto la musica del secolo scorso, John Cage è di sicuro una delle
più curiose e particolari. Sperimentatore della musica elettronica, ha
sfruttato l’avvento del nastro magnetico per dare sfogo alle proprie soluzioni
alternative. Il pubblico e i musicisti coevi, il più delle volte, hanno avuto
un atteggiamento ostile nei suoi confronti, non riuscendo a comprendere le sue
performance sperimentali, come per la sua opera simbolo 4’33”, ma
il tempo gli ha restituito i riconoscimenti che meritava.
La relazione tra John Cage e l’Italia
è stata di lungo corso, dall’evento del treno preparato a Bologna sino ai numerosi
concerti tenuti negli anni, ma di tutti i passaggi avvenuti, il suo nome viene
spesso associato a una vincente partecipazione a Lascia o Raddoppia?, nel 1959, nella quale intrattenne
Mike Bongiorno e il pubblico con alcune performance musicali ricavate da
oggetti di uso quotidiano. All’epoca, nonostante potesse contare su un
background professionale di enorme spessore – grazie a collaborazioni con
pittori, compositori e mecenati internazionali – pochi conoscevano il suo nome.
Tuttora pochi conoscono davvero Cage e il suo lascito, quello di un
rivoluzionario in campo musicale capace di eseguire collage sonori,
esaltare il valore del silenzio e plasmare i rumori rendendoli musica. Per il
compositore il silenzio aveva un ruolo fondamentale e assumeva lo stesso valore
delle note suonate: Cage realizzò che l’assenza di suono non è mai assoluta, ma
corrisponde a una percezione prodotta dall’assuefazione ai rumori quotidiani,
ai quali non prestiamo più attenzione. Cage dedicò parte della propria carriera
a dimostrare proprio che il rumore è suono e che come tale può essere
utilizzato nei componimenti, influenzando con le proprie teorie gran parte
della scena musicale successiva.
Proveniente da un’agiata famiglia di Los Angeles,
manifestò interesse per la musica sin da ragazzo; ebbe modo di studiare
pianoforte e si appassionò a compositori contemporanei come Igor
Stravinsky, Erik Satie e Paul Hindemith. Prima di
intraprendere gli studi di composizione, apprese i rudimenti di architettura,
si interessò di pittura e poesia, palesando un eclettismo fuori dal comune e
dimostrandosi già affascinato dalle arti e la loro commistione. Arnold Schönberg,
teorico della dodecafonia di cui era allievo, lo definì un inventore di genio piuttosto
che un compositore. Quest’appellativo ben identifica Cage e la sua filosofia,
che negli anni si allontanò sempre più dai metodi tradizionali per abbracciare
il concetto di casualità. Cage collaborò con Marcel Duchamp, che lo indirizzò
verso la ricerca di nuove sonorità manipolando strumenti musicali tradizionali
e combinandoli con oggetti comuni di uso quotidiano, in un’evoluzione musicale
del ready-made.
Il prodotto di tale sperimentazione fu il pianoforte preparato,
grazie al quale la musica gradevole lasciava spazio a nuovi suoni affidati al caso.
Quest’idea si tradusse prima in un progressivo
avvicinamento al buddismo zen, poi alla pratica divinatoria dell’I Ching,
seguendo la quale produsse la composizione del 1951 Music for Changes, in cui si
riscontra il seme di quello che l’anno successivo avrebbe preso il nome
di 4’33”, la composizione che meglio sintetizza i concetti
elaborati da Cage riguardo il silenzio, il rumore e la casualità. Cage era
l’alfiere di un cambiamento e Music for Changes rappresentava
l’inizio di tale rivoluzione: essendo composto per metà da pause, esprimeva la
sua ricerca di equilibrio tra suono e silenzio. Se fino a Music for
Changes, la musica era universalmente intesa come un mezzo espressivo,
ricco di contrasti e cambi di tonalità, con una propria capacità narrativa,
Cage fece decadere l’espressività della musica, sottrasse la dinamicità per
narrare situazioni virtualmente atemporali, assimilabili all’idea di infinito
delle dottrine orientali. L’analisi del silenzio lo condusse, come detto, allo
studio del rumore e a una sua inedita definizione. Nel suo libro Silence:
Lectures and Writings, pubblicato per la prima volta nel 1961, Cage
offriva una prima chiave di lettura del proprio pensiero:“Ovunque siamo, ciò
che sentiamo è soprattutto rumore. Quando lo ignoriamo ci disturba. Quando gli
prestiamo ascolto, lo troviamo affascinante. […] Noi vogliamo catturare e
controllare questi rumori, usarli non come effetti sonori, bensì come strumenti
musicali”.
Per approfondire i propri studi sull’assenza del suono
e per riuscire a udire il vero silenzio, Cage si recò ad Harvard, per
sperimentarlo all’interno di una camera anecoica. Il
musicista si rese presto conto che il suo intento era irrealizzabile, perché
pur essendo solo all’interno della camera non avrebbe potuto evitare di udire
due suoni distinti: uno acuto, prodotto dal suo sistema nervoso in funzione;
l’altro grave, prodotto dal proprio sangue in circolazione. L’esperienza
vissuta ad Harvard condusse Cage verso un’evoluzione della propria posizione,
in cui il silenzio assoluto venne riconosciuto come impossibile da ottenere,
perché anche nella condizione di insonorizzazione ottimale, di piena solitudine
e immobilismo, si producono dei rumori non intenzionali che l’udito non può non
percepire. Questo pensiero arrivò a compimento però solamente dopo la
performance al Black Mountain College,
dove – ispirato dai quadri monocromatici dell’amico Robert Rauschenberg, le cui
immagini erano generate da ombre o riflessi dettati dall’ambiente circostante –
trasferì in musica quanto fatto dal pittore con 4’33”. In
questo componimento Cage attuava un processo sottrattivo, spogliando il brano
da ogni scelta razionale da parte del compositore, e metteva in discussione i
ruoli canonici, con l’intento di ribaltare la prospettiva e rendere il pubblico
il vero esecutore della composizione.
Il coinvolgimento del pubblico da
parte di Cage denotava la volontà di renderlo parte integrante dello
spettacolo, nonché fattore determinante nella riuscita dell’esecuzione.
All’aumentare delle variabili sarebbe corrisposta un’incidenza maggiore del fattore
casualità nell’esecuzione. Non è un caso che Cage preferisse definire la
propria musica sperimentale piuttosto che d’avanguardia, in quanto riteneva che
il termine sperimentale risultasse inclusivo. L’accoglienza non fu positiva.
L’idea del compositore venne tacciata di superficialità, in uno scetticismo che
avrebbe accompagnato tutte le sue opere successive, contagiando anche i circoli
musicali, nei quali la sua creatività non convenzionale risultava difficile da
comprendere. Nel libro Conversing with Cage, scritto da Richard Kostelanetz e pubblicato per la prima volta
nel 1988, quattro anni prima della scomparsa del compositore, viene ricostruita
la reazione del pubblico a seguito della prima esecuzione del brano: “Non hanno
afferrato il punto,” constatava Cage. “Il silenzio non esiste. Ciò che pensavo
fosse il silenzio, si rivelava pieno di suoni accidentali, dal momento che non
sapevano come ascoltare. Durante il primo movimento si poteva sentire il vento
che soffiava fuori. Nel secondo, delle gocce di pioggia cominciarono a
tamburellare sul soffitto, e durante il terzo, infine, fu il pubblico stesso a
produrre una serie di suoni interessanti mentre parlava oppure se ne andava”. Questo dimostra come 4’33” sia
stata un’opera respingente, scarna nella sua semplicità quasi canzonatoria,
incapace di trasmettere lo studio metodico e continuativo celato dietro la
realizzazione di un’idea così grandiosa. Seconda per lo scandalo suscitato solo
a un altro caposaldo del Novecento musicale, la Sagra della Primavera di Igor
Stravinskij, è stata compresa con molta lentezza e, come spesso accade in
ambito artistico, solo il tempo è stato in grado di restituire a Cage il valore
delle proprie intuizioni.
L’utilizzo del white noise e
del feedback è ormai consuetudine nella musica di tutti i
giorni, tali elementi sonori non vengono più percepiti come rumori. E c’è chi
addirittura ha fondato sull’uso di martelli pneumatici, trapani a percussioni,
catene e lamiere, la propria opera, come la band tedesca Einstürzende Neubauten. Questo lo dobbiamo
esclusivamente a un’evoluzione estrema del piano preparato capace di produrre
rumori casuali connotati come elementi musicali. Osservando a posteriori la
carriera di John Cage è impossibile non notare l’essenza ortodossa che ha
contraddistinto il suo pensiero, una qualità che gli consentì di riformare
l’idea di musica, comunemente condivisa, destrutturandola. Cage non restò affascinato
dall’armonia, ma dalle dissonanze che appartengono alla casualità quotidiana,
in un susseguirsi di rumori e silenzi, nei clacson che risuonano nella via
mentre le persiane si abbassano e il vento sibila facendo risuonare le fronde
degli alberi. Per questo è difficile definire musica quanto prodotto da Cage se
non si conosce il ragionamento e l’insegnamento che si cela dietro la sua
filosofia: non fermarsi alle impressioni e osservare il circostante da diverse
prospettive per poterne cogliere ogni singolo aspetto.
https://thevision.com/cultura/john-cage-musica/
- 27 febbraio 2019
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