Il Salone del Libro di
Torino celebra lo scrittore nel centenario della nascita. Noi ve lo raccontiamo
attraverso le sue parole. La prima: Auschwitz
Il 31 luglio di quest’anno Primo Levi avrebbe compiuto 100
anni, abbiamo pensato di raccontarvelo in 13 parole, tredici lemmi, uno per
settimana, che riassumono la sua opera così importante, vasta e poliedrica.
Sono voci di una piccola enciclopedia portatile per conoscere aspetti della sua
opera e della sua vita, dalla presenza degli animali nei suoi libri al rapporto
con la fede religiosa e l’ebraismo, dalla poesia alla chimica e alla
fantascienza. Un ritratto a tutto tondo di un autore decisivo per la nostra
letteratura, ma anche per la nostra coscienza civile.
Auschwitz
Auschwitz, Alta Slesia,
è il luogo dove arriva nel 1944 il treno composto di vagoni merci che
trasporta Primo Levi e i suoi amici. Partito da Fossoli, il
campo di concentramento per ebrei vicino a Modena, ha a bordo 640 persone:
bambini, donne, uomini e anziani. Sopravvivono solo 15 persone. Primo è
selezionato per lavorare; viene aggregato a uno dei campi minori del sistema
dei Lager che fanno capo ad Auschwitz: Monowiz.
Deve faticare nella Buna, la grande
fabbrica di gomma sintetica che i tedeschi stanno allestendo lì accanto. Levi è
chimico e dopo qualche mese sostiene l’esame per entrare nel Kommando Chimico,
così trascorre gli ultimi mesi prima della liberazione al caldo. Come racconta
in una lettera, diretta ai suoi parenti in Sudamerica del novembre 1945 al
ritorno a Torino, Monowitz “non era un cattivo campo”; vi morivano “solo” 20
persone al giorno e v’erano periodiche selezioni, tuttavia le condizioni delle
donne avviate al lavoro in altri campi, scrive, erano ben peggiori delle sue.
Nel gennaio del 1945 i russi attaccano in
forze Cracovia, nelle vicinanze di Auschwitz. I tedeschi sgombrarono il campo.
Il 27 gennaio i soldati sovietici entrano a Monowitz. Tutto questo sarà
l’oggetto della testimonianza redatta subito dopo il ritorno. Completato nel
1946 e pubblicato nel 1947 da un piccolo editore di Torino, De Silva, con il
titolo Se questo è un
uomo, il libro narra le vicende della deportazione. È stato
inizialmente rifiutato da tre grandi editori, tra cui Einaudi, che lo
riproporrà nel 1958. Auschwitz non è però solo il nome del Lager in cui Primo
Levi è stato internato, ma anche il “contenuto” stesso del suo primo libro.
Ci si è interrogati che scrittore sarebbe
stato il giovane chimico torinese se non fosse stato deportato e non avesse
redatto questa straordinaria testimonianza. Lui stesso l’ha fatto, ma senza
riuscire a rispondersi. Non è possibile se non a partire dai libri che ha
effettivamente scritto, in particolare dai racconti di Storie naturali (1966)
e Vizio di forma (1971).
Lì s’intravede la sua vena letteraria, al di là della stessa deportazione.
Eppure anche questi due libri, così originali e differenti dalla testimonianza
del Lager, recano il segno di quella esperienza che ha trasformato l’ebreo
torinese Primo Levi in uno scrittore a tutto tondo. Ha scritto di essere nato
come scrittore con un libro sui campi di distruzione, e poi di essere diventato
un narratore attraverso la storia del suo ritorno da Auschwitz, La tregua (1963).
Levi aveva sempre voluto fare lo
scrittore. Nel 1946 scrive al suo compagno di prigionia, Pikolo, una lettera
dove gli manda in visione il capitolo Il canto di Ulisse, e annuncia la stesura
del libro seguente, La tregua, uscito solo nel 1963. Auschwitz è stata dunque
l’occasione che l’ha trasformato in scrittore. L’ha raccontato a più di un intervistatore:
il Lager gli ha fornito che cosa raccontare. Oggi sappiamo che Levi è uno
scrittore ben oltre la testimonianza resa con i suoi scritti per quarant’anni.
Una consapevolezza che ha faticato a imporsi. Per lungo tempo Levi non è stato
considerato a pieno titolo uno scrittore, come era accaduto invece a Calvino,
anche lui autore che ha debuttato subito dopo la fine della guerra nel 1947.
Per molti Levi era un testimone. I lettori
dei suoi libri però l’hanno sempre stimato uno scrittore: lo leggevano con
piacere e soddisfazione. La critica letteraria italiana invece non l’ha
riconosciuto come tale solo molto tardi; nelle storie letterarie gli erano
dedicate solo poche righe come memorialista. Naturalmente ci sono state delle
eccezioni. Italo Calvino già nel 1947 l’aveva recensito e parlato di lui come
di un vero scrittore, e Franco Antonicelli, il suo primo editore, lo definisce
tale già nel 1946. Auschwitz quindi non è solo il nome di un famigerato Lager,
ma del luogo e del tempo in cui Levi ha ricevuto un dono prezioso ma
avvelenato. Il Lager gli ha fornito la materia del racconto, e ad Auschwitz è
rimasto legato per tutta la vita.
Il suo ultimo libro pubblicato prima della
morte, I sommersi e i
salvati del 1986, è un ripensamento profondo dei temi trattati
in nel primo libro, uno dei libri più importanti del XX secolo. Il dono che ha
ricevuto è stato per lui fonte di dolore, un dolore che si è rinnovato di opera
in opera. Diventato scrittore grazie ad Auschwitz, non ha mai potuto
distanziarsi completamente da quella esperienza. Testimoniare è stato per lui
un rinnovare quel ricordo. Eppure più volte ha parlato dell’esperienza di
Auschwitz come di “un’avventura”. Una volta un amico gli ha detto che il periodo
da lui trascorso in Lager sembrava in technicolor, mentre il resto della sua
vita in bianco e nero. Levi ha fatto sua questa frase, che definisce
perfettamente l’ambivalenza verso Auschwitz.
Era sicuramente uno scrittore prima di
essere deportato ad Auschwitz, ma lo è diventato pienamente solo dopo quella
esperienza. Il suo primo libro, Se questo è un uomo, è insieme una
testimonianza dello sterminio ebraico, un racconto di vita, una riflessione
morale, un’analisi antropologica dell’“animale-uomo”, e altro ancora; oltre a
essere un capolavoro scritto in una lingua che oggi ci appare classica. Levi
possedeva una personalità poliedrica sin da quelle prime pagine, anche se
questo non fu subito compreso. Auschwitz è pertanto un nome plurale, che
include molti aspetti della sua stessa capacità di narrare un’esperienza e di
trarre da essa insegnamenti fondamentali intorno agli esseri umani.
Se questo è un uomo (1947) e Se
questo è un uomo (1958): si tratta dello stesso libro, il
primo che Levi ha scritto, ma non è lo stesso libro; differiscono per circa 30
pagine in più nella edizione del 1958, e sono pagine importanti, dislocate in
punti salienti del libro. Finalmente dopo settant'anniora è possibile leggere
l'edizione del 1947 nel primo volume delle "Opere complete"
pubblicate nel 2016 da Einaudi.
https://www.repubblica.it/dossier/cultura/le-parole-di-primo-levi/2019/05/09/news/le_parole_di_primo_levi_auschwitz_dit
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