I miti e le leggende
che costellano la lunga marcia dell'umanità, dalla preistoria fino alla moderna
società postindustriale, hanno spesso riguardato esseri infinitamente piccoli o
invisibili (elfi, folletti, troll) oppure infinitamente grandi (Giganti,
ciclopi).
E'interessante
notare come tali miti, pur nella loro fantasia e a volte manifesta
irrazionalità, si siano radicati nell'essere umano quali espressioni di eventi
ancestrali, come se l'uomo insomma avesse cercato di rendere razionalmente
comprensibili alcuni fenomeni altrimenti inspiegabili. Oltre a rappresentare
una "dimensione parallela", il mito si configura allora quale
espressione di una delle qualità più eminentemente umane: la fantasia, il
potere di sognare e creare, e in qualche modo sostituirsi alla Forza Creatrice
in cui ogni uomo crede.
Le forze della Terra,
nell'immaginario degli antichi, assumevano volti e corpi; uno dei più usati era
quello dei Giganti. Essi compaiono nei miti ora come nemici degli Dei, ora come
razza che va scomparendo, ora come corpo da cui la vita stessa ha origine.
Talvolta i viaggiatori si
vantavano di averne visti, e nei loro racconti riportavano avventure
incredibili. I crani degli elefanti, sbiancati dal tempo, facevano pensare a
immani esseri con una sola cavità oculare... e furono i Ciclopi, compagni di
Polifemo.
Furono Giganti, primi figli
degli Dei.
"La figura dei Giganti è
nata probabilmente da molteplici rappresentazioni originarie", presume lo
scrittore e divulgatore scientifico Ernst Probst. Secondo lui la fonte è da
cercarsi "nei criteri di misurazione assai diversi che esistevano allora,
nel vedere in insoliti fenomeni della natura la manifestazione di creature
dalla forza eccezionale (si pensava che l'avversario sconfitto avesse
proporzioni sovrumane: tali concezioni avevano un loro ruolo nelle storie di
draghi), forse anche nelle allucinazioni dovute al consumo di droghe". E ancora:
"Quasi ogni Paese aveva un tempo il suo Gigante nazionale, che risaliva
quasi sempre al ritrovamento di ossa di elefanti, la cui vera natura era
sconosciuta."
Tra i numerosi miti, ci
soffermeremo ora su quelli riguardanti i "giganti" nati in un delimitato
ambito geografico, il bacino del Mediterraneo.
Generalmente, parlando di
Mediterraneo, si pensa alle sole civiltà greca e romana, con i loro vastissimi
repertori mitici; la mitologia romana è però frutto della commistione tra
quella greca e quella italica ed etrusca, e più a ritroso nel tempo non si
esclude che uno tra i più antichi cantori del mito greco, Esiodo, nella metà
del VII a.C., sia stato influenzato dalle culture micenee o persiane, per
citarne solo un paio, come si vedrà in seguito a proposito di uno dei suoi
testi più famosi, la Teogonia.
Presso gli antichi popoli
Italici, in epoca antecedente all'avvento di Roma, esisteva per esempio un
etimo particolare: "Volcanus, Volkanus o Vulcanus"; si ritiene che
sia di origine indoeuropea, e veniva associato a una divinità messa in
relazione col fuoco vulcanico, se è vero che il suo culto conservava uno dei
principali centri a Pozzuoli, nei Campi Flegrei (luogo che incontreremo, non a
caso, in uno dei miti più importanti, la Titanomachia), secondo quanto ci
racconta il geografo greco Strabone (64 a.C - 21 d.C.). I Romani ereditarono
questo culto dagli Etruschi e finirono per identificare questa divinità con il
dio greco Efesto. In particolare, a Roma assunse forte rilevanza il culto di
Vulcano nel corso dell'età monarchica, tanto che Servio Tullio - uno tra gli
ultimi re - era ritenuto diretto discendente di tale dio.
A loro volta i Greci
derivarono il mito di Efesto dai popoli stanziati in Asia Minore e nelle isole
Cicladi, quindi da una sorgente diversa da quella italica del dio Vulcano. E'
risaputo, infatti, che i popoli mediorientali ebbero a che fare con le eruzioni
dei vulcani delle Cicladi e dell'Anatolia.
Il tratto dominante dell'area
mediterranea, dunque, è questa sorta di sincretismo mitologico che trova ragion
d'essere in una delle caratteristiche fondamentali dei popoli stanziati nella
zona: la voglia sempre viva di esplorare lo sconosciuto. L'opera di Omero in
tal senso ne è l'emblema.
Il viaggio, lo spostamento, è
l'attività privilegiata di questi popoli, di quello greco in particolare;
viaggi principalmente a scopi commerciali, per aprire rotte più vantaggiose e
sicure, e scovare mercati vergini dove poter vendere i propri prodotti: nulla
di nuovo, in fondo. I viaggi marittimi avvenivano prevalentemente tra la
stagione primaverile e quella estiva, e in ogni caso era raro che ci si
allontanasse dalla costa; accadeva quindi che, durante la navigazione, con un
occhio si sfiorasse l'immensità delle acque, ma con l'altro si rimanesse
attaccati alla Madre Terra. A questo punto, bisogna considerare un fattore per
così dire "geologico" dominante del bacino mediterraneo: la presenza
di eventi vulcanici primari (soprattutto) e secondari. Tra il XIV e il VII
secolo a.C. si ritiene che tali fenomeni dovessero presentarsi in numero ed
entità maggiori rispetto ai giorni nostri.
La combinazione di
navigazione a vista e vulcani deve aver prodotto nell'immaginario dei marinai
la credenza nell'esistenza di Giganti, enormi esseri viventi i cui occhi erano
scambiati per quegli enormi fuochi che ardevano sulle coste. Purtroppo, a causa
del sincretismo e delle stratificazioni culturali succedutesi nel corso dei
secoli, non è possibile gettare uno sguardo unitario sul panorama mitologico
complessivo dell'epoca: basti citare il caso della quasi sconosciuta civiltà
micenea, cui subentrò quella ben più famosa dei greci. Certo è che in tutte le
culture mediterranee esistono riferimenti a culti specifici correlabili a
quello primordiale del fuoco sotterraneo: tra i vari esempi ci sono quello
delle Vestali romane, o dell'antichissima dea Hestia nel pantheon greco,
passata poi in quello romano appunto come Vesta.
Il panorama mitologico
mediterraneo è strettamente legato al tema del "fuoco", inteso come
forza insopprimibile, la quale può essere creatrice o distruttrice: tra i miti
più famosi si possono inserire la distruzione di Atlantide, la guerra fra i
Giganti e Zeus, Prometeo che ruba il fuoco agli dei per darlo agli uomini, il
ciclope Polifemo e Ulisse, la Fucina di Vulcano, fabbro di Zeus, l'Averno e la
porta degli Inferi, mito vivo addirittura al tempo della Commedia dantesca!
In area greca esiste una
leggenda nella quale si vede riflesso il legame tra eventi vulcanici e Giganti:
quella che narra del Gigante Talo. Di questo mostro si parla soprattutto nelle
Argonautiche, poema epico redatto da Apollonio Rodio (290 - 260 ca a.C) in età
ellenistica nel tentativo di rivitalizzare un genere oramai agonizzante. Ci
troviamo nel corso del viaggio di ritorno degli Argonauti; Giasone ha già
raggiunto il suo obiettivo, recuperare il vello d'oro, ed è riuscito a sedurre
la maga Medea (la seduzione era un tema caro alla cultura ellenistica) quando,
nei pressi di Creta, si erge innanzi alla sua nave (l'Argo) un immenso Gigante
di bronzo, Talo appunto. La forza vitale di quest'ultimo risiede in un'unica
vena che corre dalla testa alla caviglia, dove è situato una specie di tappo.
Il Gigante cerca di staccare delle rocce da scagliare contro l'Argo, ma Medea
riesce, con le sue arti magiche, a provocargli visioni malefiche, che gli fanno
perdere l'equilibrio; nella caduta la caviglia si scalfisce, determinando la
rottura della vena cosi che il sangue inizia a sgorgare a fiotti. Talo si
abbatte morto sulla riva.
Apollonio usa il mito come semplice
spunto narrativo (retaggio anche questo della cultura ellenistica) ma le
informazioni riguardanti Talo sono numerose, e in genere riconducibili a eventi
vulcanici: il Gigante manifestava appunto tale costituzione
"vulcanica" scagliando massi contro gli intrusi, bruciandoli,
arroventandosi e stringendoli in un abbraccio mortale, e lui stesso aveva lava
al posto del sangue.
In mitologia esistono varie
storie legate a Talo: per dovere d'informazione bisogna aggiungere che, oltre a
un Gigante di bronzo, in altre versioni si tramandava che fosse un toro
fabbricato o donato a Minosse dal dio Efesto, per custodire Creta. Il mito
narra che egli compisse tre volte al giorno il giro dell'isola, o che visitasse
tre volte l'anno i villaggi di Creta, recando tavolette di bronzo con sopra
incise le leggi; è presente un legame tra Gigante e cupa oppressione, il che
rafforzerebbe l'ipotesi che nell'immaginario collettivo dell'epoca Talo fosse
la personificazione del vulcano di Santorini, la cui esplosione si ritiene abbia
avuto conseguenze devastanti per la civiltà cretese. Un'altra versione ancora
racconta che Talo, nella veste di Gigante di ferro costruito da Efesto, fu da
Zeus posto a guardia di Creta quando vi lasciò la ninfa Europa. (..)
Va presa con le pinze la
definizione di Erodoto (480 - 430 a.C. ca) "pròtoi heuretaì" dedicata
a Esiodo e Omero, che tradotta suona quasi come "primi scopritori"
[delle cose relative agli dei]. Infatti, il progresso degli studi e le più
recenti scoperte archeologiche hanno permesso di capire quale ingente quantità
di materiale cosmologico vi fosse alle spalle di Esiodo, materiale risalente
per lo più a civiltà anteriori e diverse da quella greca (quella del Vicino
Oriente per esempio), e poi passato nella civiltà ellenica per quel fenomeno di
sincretismo già accennato prima. Bisogna ricordare che lo stesso Esiodo era
figlio di un colono che aveva abitato per lungo tempo a Cuma, una città
affacciata sulla costa dell'Asia Minore; inoltre il poeta era originario della
Beozia, regione che in tempi anteriori era stata il maggior centro di sviluppo
della cultura micenea.
E' interessante osservare
come, nella Teogonia, Esiodo abbia in un certo modo "classificato" i
Giganti in varie stirpi, tutte discendenti dalla coppia Urano-Gea; i due
procrearono dapprima i Titani: "l'Ocèano profondo, e Coio, Crio, Giapèto,
Mnemòsine, Tèmide, Rea, Iperione, Tea, l'amabile Tètide, e Febe dalla ghirlanda
d'oro" e il più importante di essi, "il fortissimo Crono... di scaltro
consiglio, fra tutti i figliuoli il piú tremendo; e d'ira terribile ardea
contro il padre". Il motivo di tanto odio è presto detto, e ce lo narra lo
stesso Esiodo: "Uràno come nascevano, tutti li nascondeva giù nei bàratri
bui della Terra, non li lasciava a luce venire".
La seconda stirpe è quella
dei Ciclopi (propriamente dal greco kuklops = dall'occhio rotondo):
"...[Gea] generava [i Ciclopi] dal cuore superbo, Stèrope, Bronte, e Arge
dal cuore fierissimo: il tuono diedero questi a Giove, foggiarono il folgore...
solamente un occhio avevano in mezzo alla fronte ed ebbero quindi il nome di
Ciclopi". In età arcaica i mitografi distinguevano a loro volta tre stirpi
di Ciclopi: i figli di Gea e Urano, appartenenti alla prima generazione di
giganti; i Ciclopi "costruttori", artefici di tutti quei monumenti
presenti in Grecia o in Sicilia formati da blocchi di pietra così giganteschi
che non erano creduti frutto di attività umana (da qui le "mura
ciclopiche"); infine, i Ciclopi "siciliani", resi famosi dalla
letteratura greca, quella omerica in particolare (ad esempio Polifemo). (..)
Mi sembra opportuno
evidenziare due importanti conseguenze legate al mito dei Ciclopi: in primo
luogo si deve rilevare ancora una volta la relazione "vulcanica",
poiché essi abitavano in caverne sotterranee, dove i colpi delle loro incudini
e il loro ansimare faceva brontolare appunto i vulcani della zona, mentre il
fuoco della loro fucina arrossava la cima dell'Etna. Inoltre, c'è uno stretto
legame tra Ciclopi e Natura che sarà avvertito in maniera particolare in età
ellenistica, quando l'imponente fenomeno di inurbamento spinse autori come
Teocrito (315 - 260 ca a.C.) a riscoprire i valori della natura, seppur in
un'atmosfera sognante e idealizzata (insomma, ben lontana da quella delle
Georgiche virgiliane). Proprio a questo autore, per esempio, si deve un idillio
incentrato sulla figura di un Ciclope, innamorato della bella Galatea, che
tuttavia non riesce a conquistare pur sfoderando tutte le sue arti
"seduttive"; si assiste, insomma, a una profonda frattura, ormai
consolidata, tra mondo cittadino e naturale. La terza stirpe di Giganti figli
di Gea e Urano furono gli Ecatonchiri: "...Cotto, Gía, Briarèo, figliuoli
di somma arroganza. A essi cento mani spuntavan dagli òmeri fuori, indomabili,
immani, cinquanta crescevano teste fuor dalle spalle a ciascuno..."
Oltre alla versione mitica,
bisogna registrare anche la posizione assunta dai cosiddetti "evemeristi",
seguaci cioè della teoria portata avanti dal filosofo Evemero di Messene (III
a.C.): secondo questi, gli dèi altro non erano che uomini leggendari (come
potevano essere, per i Romani, Muzio Scevola o la guerriera Camilla) realmente
esistiti e divinizzati dalla fama popolare. Secondo tale ottica, dunque, gli
Ecatonchiri erano uomini che, in un tempo lontanissimo, avevano occupato la
città di Ecatonchiria e avevano porto il loro aiuto agli abitanti di Olimpia
(gli olimpici) nella guerra per cacciare i Titani dalla regione.
Ovviamente, non si tardò ad
accusare chi appoggiava le tesi di questa vera e propria "filosofia della
storia" quali propugnatori dell'ateismo.
Lo stato di equilibrio tra
queste tre stirpi venne rotto a opera del Titano più intraprendente, Crono,
alleatosi con la madre Gea (disperata per la sorte dei propri figli) contro il
padre Urano.
Gea gli offrì lo strumento:
"generò del cinerèo ferro l'essenza, una gran falce..." ma lo spirito
vendicativo e punitivo era tutto di Crono: "O madre, io ti prometto di
compier l'impresa ché nulla del tristo mio padre m'importa: ché egli ai nostri
danni rivolse per primo la mente". La ribellione di Crono segna l'inizio
di quell'immane lotta che prende il nome di "Titanomachia", una guerra
combattuta tra generazioni successive di Giganti (Urano, Crono, Zeus) per la
conquista del potere sull'Universo. La detronizzazione di Urano avvenne in
maniera molto cruenta: con la falce prodotta dalla madre, Crono evirò il padre,
lasciando che i genitali cadessero nel mare (e da qui prende avvio il famoso
mito di Venere nata dalla spuma del mare).(..)
Con la nascita di Zeus si giunse al momento della
definitiva resa dei conti e allo spiegamento della terza generazione di
Giganti. Rea, in procinto di mettere al mondo Zeus, l'ultimo dei suoi figli, su
suggerimento dei genitori Gea e Urano fuggì a Creta, dove partorì; in seguito
presentò a Crono una pietra avvolta di fasce, che egli prontamente divorò senza
accorgersi dell'inganno. A tal proposito, Esiodo ci dice: "...concertarono
insieme quanto era segnato dal Fato... la mandarono a Litto, fra il popolo
ricco di Creta... [Rea] lo nascose in un antro inaccesso, con le sue mani,
sotto santissimi anfratti terrestri... una gran pietra ravvolta di fasce, la
porse all'Uranide [figlio di Urano] grande...con le sue mani quello la prese,
la cacciò nel ventre, né gli passò per la mente [che] era rimasto immune dal
danno l'invitto suo figlio, che con le forti sue mani doveva ben presto
domarlo..."
Ecco come ha origine la terza generazione di Giganti,
quella che avrà più fama nella mitologia greca: la stirpe olimpica. Ben presto,
infatti, la Titanomachia entrò nella sua fase più dura e violenta, lo scontro
tra Zeus e gli alleati Ciclopi ed Ecatonchiri, liberati dalla prigione in cui
li aveva gettati il fratello ("del suo beneficio poi memori furono sempre")
contro Crono unitosi ai fratelli Titani. Il mito racconta che Atlante e suo
fratello Menezio si coalizzarono con Crono (il "tempo", ovvio nemico
degli dèi immortali) e agli altri Titani nella loro guerra contro gli dei
dell'Olimpo. Da parte sua, Zeus, tramite una pozione, indusse Crono a vomitare
i figli divorati in precedenza, i quali divennero i suoi alleati più forti.
"E Giove non frenò la sua furia, ma subito il
cuore a lui di negra bile fu colmo; e di tutta la forza sua fece
mostra..." dice Esiodo. La lotta durò dieci anni, e vide alla fine vincere
Zeus e i suoi alleati in accordo al responso di un oracolo, il quale gli aveva
predetto che sarebbe riuscito vincitore se avesse liberato i fratelli di Crono
- Ciclopi ed Ecatonchiri - imprigionati nel Tartaro.(..)
Ognuno di tali Giganti venne sconfitto e sepolto vivo
sotto i massi scagliati da Zeus o da qualche altro dio olimpico. Il legame più
evidente con l'attività vulcanica si nota osservando i luoghi in cui tali
Giganti vennero sepolti: Tifone o Encelado nell'Etna, Tifeo a Ischia, altri
sotto i Campi Flegrei.
Dunque anche nella "Titanomachia", uno dei
miti più famosi e importanti legato ai Giganti, s'intravede riflesso il legame
tra leggenda e attività vulcanica, evidente nel modo di affrontare la battaglia
(con il lancio di massi e tizzoni ardenti) oppure nella scelta dei luoghi
chiave, devastati da cataclismi vulcanici.
Esiste, per la precisione, anche una versione
differente del mito, elaborata secondo interpretazioni orfiche, seguendo la
quale si assiste a una successiva riconciliazione tra Zeus e Crono, con
quest'ultimo che assume la veste di re buono e magnanimo.
In ambito latino, Crono passò come Saturno (divinità
tipicamente italica, cui è legato anche un particolare metro arcaico della
latinità, il saturnio appunto) con una propria importanza: era usanza, infatti,
porre in Campidoglio, come buon auspicio, il trono di Saturno, creduto opera
diretta di Romolo.
Presso i Celti e nelle leggende nordiche i
ritrovamenti dell'agire dei Giganti, più che a ossa di elefanti, erano
probabilmente legati all'esistenza dei dolmen, o all'attività degli elementi
naturali (solo esseri eccezionali potevano rappresentare il lavorio delle forze
che muovono la Terra).
In Irlanda un'intera area, la Giant's Causeway, si
ritiene sia stata costruita dal leggendario Gigante Finn MacCool per permettere
a un Gigante scozzese, Benandonner, di raggiungere la terra d'Irlanda e
sfidarlo. Secondo altre fonti, Finn avrebbe costruito il ponte per raggiungere
la donna amata attraverso il mare. Una serie di lunghe colonne di basalto
s'innalza dal terreno, lungo la costa, e pare tendere verso terre lontane. La
zona, creata da una catena di eruzioni vulcaniche e dall'erosione del mare in
milioni di anni, è tuttora meta di turisti.
Anche nell'Edda, saga nordica per eccellenza che fu
messa per iscritto nel primo Medioevo, troviamo presenza dei Giganti. I Giganti
nordici sono assimilabili per alcuni profili ai Titani delle leggende
mediterranee (per esempio anch'essi sono collegati all'elemento fuoco), per
altri sono invece più simili ai Troll.
L'inizio dei tempi è scandito dalla nascita di due
esseri, uno dei quali è Ymir il Gigante. Da Ymir discende una razza di giganti,
e solo in seguito la razza degli uomini. Tra uomini e Giganti, malvagi di
natura, nasce una lotta vinta dai primi e dai loro Dei. Dal corpo di Ymir,
Odino e i suoi fratelli creano il mondo: dalla carne la terra, dal sangue mare
e fiumi, dalle ossa le montagne, dai capelli gli alberi, dal cranio la volta
celeste e dal cervello le nuvole.
Il rapporto tra uomini e Giganti è raramente pacifico;
come gli antichi dèi (Zeus, Odino) così gli eroi delle leggende bretoni e scozzesi
affrontano i Giganti come nemici, sconfiggendoli più spesso con l'astuzia che
non con la forza. In Scozia, due Giganti del Loch Shiel vengono gabbati da un
uomo: con la scusa di stabilire chi sia il più forte tra loro, vengono convinti
a lanciare le rocce di un glen, un appezzamento di terreno, il più lontano
possibile. Gli sciocchi finiscono poi per perdersi per sempre agli estremi del
mondo, una volta giunto il momento di recuperarle, lasciando agli uomini un
campo eccezionalmente privo di rocce.
Dietro alla costruzione dei maggiori cerchi di pietre
ci sono leggende di Giganti: di fronte a quei massi colossali infissi nel
terreno, ci si chiedeva quali forze immani fossero state in grado di erigere
tali opere. Lo stesso cerchio di Stonehenge viene chiamato "danza dei
giganti".
Anche la Bibbia parla spesso di Giganti. Nel
"Deuteronomio" gli Ebrei, giunti nella Terra Promessa, trovano a
Rabbath il letto di ferro di un Gigante scomparso, "era lungo nove cubiti
e largo quattro...", o li incontrano: "vedemmo i giganti, i figli di
Anak che discendono dai giganti e ai nostri occhi noi eravamo di fronte a essi
come dei grilli - e ai loro occhi eravamo come dei grilli". In Genesi
4,1.4: "in quel tempo sulla terra vi erano dei Giganti e in seguito quando
i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini ed ebbero dei figli, questi
figli divennero uomini potenti e furono celebri eroi nell'antichità".
Senz'altro il più famoso tra i Giganti biblici è
Golia, e la sua vicenda diviene il simbolo della vittoria del bene sul male,
dell'astuzia sulla forza violenta. Benché non altrettanto celebre, Og è un
altro dei Giganti citati nella Bibbia meritevole di richiamo. Mosè lo sconfigge
durante la conquista di Canaan, e secondo la mitologia ebraica esso faceva
parte dei numerosi Giganti antidiluviani, l'unico a sopravvivere al diluvio
perché l'acqua gli arrivava appena fino alle ginocchia.
Un altro episodio biblico narra che nei dintorni di
Ebron vivesse una stirpe di Giganti, discendenti da Anak: gli Anakiti. Tre
figli di Anak (Achiman, Sesai e Talmai) gettarono nel panico gli israeliti
durante il loro cammino verso la Terra Promessa.
Probabilmente da questi Giganti prendono il nome
quelli che nel mondo greco erano venerati come stirpe di dèi e di antichi re,
gli anachi.
In Austria e in Germania i Giganti si muovono in
selve, grotte e boschi. Aimone, per esempio, era un gigante che aveva dimora
vicino alle sorgenti del Reno. Scontratosi con un suo simile di nome Tirso, che
abitava la valle dell'Inn, l'aveva ucciso. La cosa non era piaciuta agli
abitanti locali, tant'è che Aimone fu costretto a riparare al proprio misfatto
affrontando una creatura mostruosa che funestava la zona.
Il Bayernkonigsloch (tana del re bavarese), una
località situata nel nord del Tirolo, secondo alcune leggende locali deve il
suo nome ai Giganti che avevano cura di sorvegliare "l'ingresso ai
padiglioni dell'imperatore". Molte leggende narrano di Riibezahl, il genio
del monte dei Giganti, che aiutava i viandanti ma si vendicava senza pietà di
chi osava dileggiarlo.
Nelle saghe del Reno i Giganti sono numerosissimi.
Un Gigante di nome Tannchel avrebbe fatto saltare le
rocce che facevano ristagnare le acque del Reno nella zona della Foresta Nera.(..)
Il Gigante pare dunque rispondere a un'esigenza umana,
quella di dare alla natura un volto razionale simile a quello umano. Un
archetipo quindi, un mito per spiegare quanto non è o non era possibile
spiegare.
Testo riprodotto su autorizzazione della
redazione di Terre di Confine e apparso sul
numero 2, gennaio 2006, della rivista
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