Uno degli effetti
più devastanti che la politica degli ultimi vent’anni ha prodotto in Italia è
stato il quasi totale annichilamento della cultura. C’è stato un tempo in cui
un’idea politica poteva nascere anche a teatro e in cui una canzone poteva far
scegliere da che parte stare. C’è stato un tempo in cui l’arte non era
considerata un vezzo, un privilegio di pochi o, peggio ancora, un passatempo,
ma uno strumento che poteva cambiare il mondo. Furono tanti i protagonisti di
quel momento storico, anche relativamente recente, ma su tutti emerge il
contributo alla nostra cultura di Dario Fo e Franca Rame.
Quella tra Fo e Rame
è stata una tra le storie d’amore più belle del Novecento italiano, una fusione
artistica e politica che ha arricchito culturalmente il nostro Paese. Dario Fo
nacque nel 1926 a Sangiano, un piccolo paese lombardo vicino al Lago Maggiore,
figlio di un capostazione che durante la seconda guerra mondiale venne
coinvolto nella Resistenza contro i nazifascisti. Franca Rame, di tre anni più
giovane di Dario, era invece la figlia di una famiglia di marionettisti e
burattinai: la Famiglia Rame era
un’istituzione nei paesini della Lombardia in cui portavano, con la loro
corriera, la magia del teatro popolare. “Mettevamo in scena un
po’ di tutto dalla commedia dell’arte ai classici di Shakespeare”, ricorderà lei in
seguito, “adattati all’occorrenza perché mio padre sapeva di aver a che fare
con un pubblico fatto di persone semplici”. Fo e Rame si conobbero quando
avevano vent’anni, nella compagnia teatrale di Franco Parenti: lui era stato
assunto come scrittore, lei faceva l’attrice. Dopo il colpo di fulmine si sposarono a Milano nel
1954.
Da quel primo incontro, la carriera di entrambi ha
viaggiato in quasi totale simbiosi. Nei primi dieci anni di lavoro i due
artisti si fecero conoscere dal pubblico per le doti attoriali e di scrittura,
soprattutto nel campo satirico che divenne ben presto il loro marchio di
fabbrica. I due non sperimentarono solo a teatro, ma anche al cinema e nella
neonata televisione italiana, dove il successo di pubblico non tardò ad
arrivare, tanto che nel 1962 la Rai affidò loro
la conduzione di Canzonissima, uno dei suoi programmi di punta. La
prima serata e i quindici milioni di spettatori non intimidirono la coppia di
artisti, che decise di non voler rinunciare ad affrontare, nei loro sketch, i
temi politicamente più rilevanti, come dichiararono.
L’effetto fu dirompente, perché il messaggio era rivolto all’Italia dei
primissimi anni Sessanta, stordita dal boom economico e incapace di intuire la
nascita dei problemi che ci affliggono ancora oggi. Fo e Rame affrontavano temi
come le morti sul lavoro, gli scioperi, le serrate, la mafia, le malattie
professionali, affidando al pubblico un carico di stimoli di riflessione giudicato eccessivo (e pericoloso)
da diverse autorità.
Chiuse le porte della tv,
Fo e Rame tornarono nel loro ambiente naturale. Il mondo nel frattempo stava
cambiando velocemente e la coppia di artisti decise di restituire al teatro la
sua storica funzione sociale. Nel 1968, prima con l’associazione Nuova Scena e poi con il
collettivo La Comune, scelsero di
rompere con il teatro tradizionale e portare in giro per l’Italia testi nuovi,
sensibili ai movimenti politici e sociali in atto. Dario Fo e Franca Rame
scelsero il loro pubblico tra gli operai, i contadini e gli studenti, portando
il teatro fuori dai luoghi deputati per la sua messa in scena, ed esibendosi
nelle case del popolo, negli ospedali, nei palazzetti dello sport, nei cinema,
nei bocciodromi, nelle piazze. Il fine era quello di coinvolgere tutte quelle
persone che normalmente non lo frequentavano. Questa visione indipendente si
trovò spesso in disaccordo anche con la parte politica a loro più affine: a
causa delle critiche che le loro opere mossero allo stalinismo e alle posizioni
socialdemocratiche del Pci, il loro lavoro venne
pesantemente criticato e osteggiato dai
vertici del Partito comunista. E a poco servì anche
l’intervento indignato rivolto ai due “compagni” da parte del segretario del
Partito comunista, Enrico Berlinguer. Nonostante ciò, i due attori proseguirono
con coerenza, pur tra mille difficoltà.
Dopo gli anni della
contestazione, il loro teatro mutò, ma senza mai tradire la loro formazione
artistica e politica. Il mondo premiò questa coerenza conferendo
nel 1997 il premio Nobel per la letteratura a Dario Fo con
questa motivazione: “Seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il
potere restituendo la dignità agli oppressi”. Il Nobel è un riconoscimento che
lui ha sempre detto di
dover condividere, umanamente e professionalmente, con la sua compagna di vita:
“Permettete che io dedichi una buona metà della medaglia che mi offrite a
Franca. Franca Rame, la mia compagna di vita e d’arte […] che con me ha scritto
più di un testo del nostro teatro […] Senza di lei, per una vita al mio fianco,
personalmente non ce l’avrei mai fatta a meritare questo premio. Insieme
abbiamo montato e recitato migliaia di spettacoli in teatri, fabbriche
occupate, università in lotta, perfino in chiese sconsacrate, in carceri, in
piazza col sole e la pioggia, sempre insieme. Abbiamo sopportato vessazioni,
cariche della polizia, insulti dei benpensanti e le violenze. E soprattutto è
lei, Franca, che ha subito la più atroce delle aggressioni. Lei, più di tutti,
sulla sua pelle, ha pagato per la solidarietà che davamo agli umili e ai
battuti”. Un prestigioso premio che insieme decisero di dedicare ai giovani:
“Il nostro dovere di intellettuali, di gente che monta in cattedra o sul
palcoscenico, che parla soprattutto con i giovani è quello […] di informarli di
quello che succede intorno. Loro devono raccontare la loro storia. Un teatro,
una letteratura, una espressione d’arte che non parli del proprio tempo è
inesistente”.
Sulla coppia Fo Rame si
sono abbattute per anni le malignità di metà Paese, il loro attivismo politico
ha attirato le peggiori calunnie e non ha risparmiato a Franca Rame la più
terribile delle torture. I due attori hanno pagato caro il prezzo del loro
schierarsi ed è lecito chiedersi se, dati gli attuali risvolti politici in
Italia, avrebbero considerato un errore di valutazione l‘appoggio a favore del Movimento 5Stelle.
Sicuramente possiamo dire che anche quel sostegno politico ha rappresentato la
loro incrollabile speranza nel futuro e nei giovani, e soprattutto il loro
desiderio di essere attuali. Dagli artisti non possiamo aspettarci
l’infallibilità, sarebbe ridicolo, il loro compito è quello di invogliarci a
sperare nelle utopie che il mondo merita ancora di provare a costruire.
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