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martedì 14 maggio 2019

Lo Sapevate Che: Cultura: COME DARIO FO E FRANCA RAME SCELSERO L'ARTE SENA COMPROMESSI di Roberta Errico - 5 marzo 2019


Uno degli effetti più devastanti che la politica degli ultimi vent’anni ha prodotto in Italia è stato il quasi totale annichilamento della cultura. C’è stato un tempo in cui un’idea politica poteva nascere anche a teatro e in cui una canzone poteva far scegliere da che parte stare. C’è stato un tempo in cui l’arte non era considerata un vezzo, un privilegio di pochi o, peggio ancora, un passatempo, ma uno strumento che poteva cambiare il mondo. Furono tanti i protagonisti di quel momento storico, anche relativamente recente, ma su tutti emerge il contributo alla nostra cultura di Dario Fo e Franca Rame.

Quella tra Fo e Rame è stata una tra le storie d’amore più belle del Novecento italiano, una fusione artistica e politica che ha arricchito culturalmente il nostro Paese. Dario Fo nacque nel 1926 a Sangiano, un piccolo paese lombardo vicino al Lago Maggiore, figlio di un capostazione che durante la seconda guerra mondiale venne coinvolto nella Resistenza contro i nazifascisti. Franca Rame, di tre anni più giovane di Dario, era invece la figlia di una famiglia di marionettisti e burattinai: la Famiglia Rame era un’istituzione nei paesini della Lombardia in cui portavano, con la loro corriera, la magia del teatro popolare. Mettevamo in scena un po’ di tutto dalla commedia dell’arte ai classici di Shakespeare”, ricorderà lei in seguito, “adattati all’occorrenza perché mio padre sapeva di aver a che fare con un pubblico fatto di persone semplici”. Fo e Rame si conobbero quando avevano vent’anni, nella compagnia teatrale di Franco Parenti: lui era stato assunto come scrittore, lei faceva l’attrice. Dopo il colpo di fulmine si sposarono a Milano nel 1954. 
Da quel primo incontro, la carriera di entrambi ha viaggiato in quasi totale simbiosi. Nei primi dieci anni di lavoro i due artisti si fecero conoscere dal pubblico per le doti attoriali e di scrittura, soprattutto nel campo satirico che divenne ben presto il loro marchio di fabbrica. I due non sperimentarono solo a teatro, ma anche al cinema e nella neonata televisione italiana, dove il successo di pubblico non tardò ad arrivare, tanto che nel 1962 la Rai affidò loro la conduzione di Canzonissima, uno dei suoi programmi di punta. La prima serata e i quindici milioni di spettatori non intimidirono la coppia di artisti, che decise di non voler rinunciare ad affrontare, nei loro sketch, i temi politicamente più rilevanti, come dichiararono. L’effetto fu dirompente, perché il messaggio era rivolto all’Italia dei primissimi anni Sessanta, stordita dal boom economico e incapace di intuire la nascita dei problemi che ci affliggono ancora oggi. Fo e Rame affrontavano temi come le morti sul lavoro, gli scioperi, le serrate, la mafia, le malattie professionali, affidando al pubblico un carico di stimoli di riflessione giudicato eccessivo (e pericoloso) da diverse autorità
Chiuse le porte della tv, Fo e Rame tornarono nel loro ambiente naturale. Il mondo nel frattempo stava cambiando velocemente e la coppia di artisti decise di restituire al teatro la sua storica funzione sociale. Nel 1968, prima con l’associazione Nuova Scena e poi con il collettivo La Comune, scelsero di rompere con il teatro tradizionale e portare in giro per l’Italia testi nuovi, sensibili ai movimenti politici e sociali in atto. Dario Fo e Franca Rame scelsero il loro pubblico tra gli operai, i contadini e gli studenti, portando il teatro fuori dai luoghi deputati per la sua messa in scena, ed esibendosi nelle case del popolo, negli ospedali, nei palazzetti dello sport, nei cinema, nei bocciodromi, nelle piazze. Il fine era quello di coinvolgere tutte quelle persone che normalmente non lo frequentavano. Questa visione indipendente si trovò spesso in disaccordo anche con la parte politica a loro più affine: a causa delle critiche che le loro opere mossero allo stalinismo e alle posizioni socialdemocratiche del Pci, il loro lavoro venne pesantemente criticatosteggiato dai vertici del Partito comunista. E a poco servì anche l’intervento indignato rivolto ai due “compagni” da parte del segretario del Partito comunista, Enrico Berlinguer. Nonostante ciò, i due attori proseguirono con coerenza, pur tra mille difficoltà.

 L’inizio degli anni Settanta fu un periodo buio per la storia italiana e fu lo stesso per la storia personale della famiglia Fo: l’attività politica della coppia generò molte antipatie e contrasti, soprattutto a seguito della decisione di fondare Soccorso Rosso, un’organizzazione nata per dare assistenza legale ai detenuti coinvolti nelle lotte politiche. Nel marzo del 1973, a Milano, Franca Rame venne rapita, seviziata e stuprata da un gruppo di neofascisti che, negli anni, si scoprì agirono con l’aiuto di alcuni elementi deviati delle forze dell’ordine. Da quell’orribile esperienza, per la quale non pagò nessuno perché il reato cadde in prescrizione, nacque uno dei monologhi più intensi del teatro italiano: Lo stupro. Con questo pezzo, Franca Rame, elaborò il suo dolore e lo trasformò in una riflessione condivisa con il pubblico e soprattutto con le altre donne. Da quella notte l’attrice riversò le sue energie in una serie di spettacoli teatrali di stampo femminista, scritti con il marito, ma di cui lei era l’unica protagonista sulla scena. L’attenzione posta dall’attrice Franca Rame sui diritti delle donne, sommata alle lotte delle altre attiviste italiane, portò alla vittoria di battaglie fondamentali per tutta la società civile, come l’introduzione nel 1996 del reato di violenza sessuale nel nostro codice penale, inquadrato all’interno della categoria dei reati contro la persona e non più dei reati contro la morale e il buon costume.

  
Dopo gli anni della contestazione, il loro teatro mutò, ma senza mai tradire la loro formazione artistica e politica. Il mondo premiò questa coerenza conferendo nel 1997 il premio Nobel per la letteratura a Dario Fo con questa motivazione: “Seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”. Il Nobel è un riconoscimento che lui ha sempre detto di dover condividere, umanamente e professionalmente, con la sua compagna di vita: “Permettete che io dedichi una buona metà della medaglia che mi offrite a Franca. Franca Rame, la mia compagna di vita e d’arte […] che con me ha scritto più di un testo del nostro teatro […] Senza di lei, per una vita al mio fianco, personalmente non ce l’avrei mai fatta a meritare questo premio. Insieme abbiamo montato e recitato migliaia di spettacoli in teatri, fabbriche occupate, università in lotta, perfino in chiese sconsacrate, in carceri, in piazza col sole e la pioggia, sempre insieme. Abbiamo sopportato vessazioni, cariche della polizia, insulti dei benpensanti e le violenze. E soprattutto è lei, Franca, che ha subito la più atroce delle aggressioni. Lei, più di tutti, sulla sua pelle, ha pagato per la solidarietà che davamo agli umili e ai battuti”. Un prestigioso premio che insieme decisero di dedicare ai giovani: “Il nostro dovere di intellettuali, di gente che monta in cattedra o sul palcoscenico, che parla soprattutto con i giovani è quello […] di informarli di quello che succede intorno. Loro devono raccontare la loro storia. Un teatro, una letteratura, una espressione d’arte che non parli del proprio tempo è inesistente”. 

  
Sulla coppia Fo Rame si sono abbattute per anni le malignità di metà Paese, il loro attivismo politico ha attirato le peggiori calunnie e non ha risparmiato a Franca Rame la più terribile delle torture. I due attori hanno pagato caro il prezzo del loro schierarsi ed è lecito chiedersi se, dati gli attuali risvolti politici in Italia, avrebbero considerato un errore di valutazione l‘appoggio a favore del Movimento 5Stelle. Sicuramente possiamo dire che anche quel sostegno politico ha rappresentato la loro incrollabile speranza nel futuro e nei giovani, e soprattutto il loro desiderio di essere attuali. Dagli artisti non possiamo aspettarci l’infallibilità, sarebbe ridicolo, il loro compito è quello di invogliarci a sperare nelle utopie che il mondo merita ancora di provare a costruire.

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