Secondo un docente di psicobiologia,
“l’evoluzione della vita va nella direzione che più si adatta ai mutamenti che
l’ambiente impone. Sarà quindi necessario adattarsi a essi restando il meno
possibile ancorati al passato”. Vale quindi l’aforisma: “Se il passato ti
chiama, non rispondere: non ha nulla di nuovo da dirti”. Da antropologa e
tarologa credo che questa ottica funzionale sia pericolosa. Come ci si comporta
di fronte allo smantellamento di una popolazione indigena in nome del progresso
evolutivo? Forse ci sono dei limiti nella psicobiologia e in tutto ciò che
promuove solo l’evoluzione. A mia proposta è di unire il tempo, che
ricalcherebbe la spirale del Dna. Questo tempo non seguirebbe la linea da
sinistra a destra, tipica del pensiero razionale occidentale, e nemmeno il
tempo circolare ma statico della visione orientale. Bensì una nuova visione,
che unisce i due emisferi cognitivi: quello razionale e quello intuitivo, Che
ne pensa? Adéle
Quing Hena AdelucCioLahotmail.com
Penso Che Lei dica cose sensate nel
rifiutare la concessione psicobiologia per la quale il tempo significativo è
solo il futuro perché il passato non ha più niente da dirci. La sua ipotesi di
coniugare il tempo ciclico che torna su se stesso, che lei attribuisce alla
cultura orientale, con il tempo lineare, che come una freccia è proiettato
verso il futuro, utilizzando la bellissima immagine della spirale del Dna che
torna su se stessa elevandosi a ogni giro, mi pare perfetta. Ma questo non
tanto, come lei dice, per unire Oriente e Occidente, quanto piuttosto per
comporre uomo e natura. Il tempo ciclico, infatti, è il tempo della natura
nella successione delle sue stagioni che ogni anno si ripetono, per cui i
vecchi che hanno visto tanti cicli possono insegnare ai giovani. La tradizione
non è altro che la trasmissione di questa sapienza da generazione a
generazione. Nel tempo ciclico non c’è futuro che non sia la semplice ripresa
del passato che il presente ribadisce. Non c’è nulla da attendere se non ciò
che deve ritornare. Questo è il tempo della natura scandita dal ritorno ciclico
delle stagioni. Il tempo che lei definisce occidentale è propriamente il tempo
dell’uomo che non guarda al passato ma al futuro. A presiederlo non è la figura
del ritorno, come nel tempo ciclico, ma quello del raggiungimento di una meta,
grazie alla stretta correlazione tra i mezzi a disposizione e gli scopi da
conseguire, perché se gli scopi sono lontani, anche i mezzi rischiano di essere
inefficaci. Il tempo dell’uomo, che essendo proiettato verso il futuro potremmo
definire “progettuale”, è comunque iscritto nel tempo ciclico, la cui legge
inesorabile, che destina l’uomo alla morte, ne limita la progettualità e agisce
sulla scelta degli scopi, che sono realizzabili solo se il tempo progettuale
non ha dimenticato la scansione del tempo ciclico. Separare un tempo dell’altro
significa preparare la distruzione della Terra e con essa l’estinzione
dell’umanità. Questo è quanto sta accadendo quotidianamente quando,
dimenticando il tempo ciclico della natura, l’uomo sospinto unicamente dalla
qualità progettuale del suo tempo, desertifica le foreste, non limita le
emissioni di gas serra, estingue specie animali, non si cautela contro il riscaldamento
della terra, il buco dell'ozono, la desertificazione che avanza, l’inquinamento
della Terra e dei mari in vista di quegli scopi iscritti nella temporalità di
una generazione che non si fa carico delle generazioni che non si fa carico
delle generazioni a venire. Questa miopia antropologica che, dimentica del
tempo ciclico, vive unicamente l tempo progettuale, sarà la prima causa della
fine della specie umana. Qui non si tratta di armonizzare Oriente e Occidente,
ma di ricomporre il rapporto tra tempo dell’uomo e tempo della natura. Ma per
questo occorre abbandonare quella visione giudaico-cristiana che pensa l’uomo
al vertice del creato, a cui la natura è stata consegnata per il suo dominio.
Un dominio di cui oggi noi abbiamo oltrepassato la misura, passando dall’uso
della terra alla sua usura. Il processo è alle soglie dell’irreversibile e
ormai siamo lontani da quella concezione greca che concepiva la natura come
quello sfondo immutabile che, al dire di Eraclito, “nessun dio e nessun uomo
fece”. Questa distanza ormai incolmabile è quanto di più terribile attende
l’uomo su questo pianeta, reso inospitale perché percepito non come materia
prima. A questo punto, al di là del tempo ciclico e del tempo progettuale, la
domanda che dobbiamo porci è: “C’è ancora tempo per salvare la Terra?”.
Umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La
Repubblica – 23 marzo 2019 -
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