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martedì 23 aprile 2019

Lo Sapevate Che: C'è ancora un modo per salvare la Terra?...


Secondo un docente di psicobiologia, “l’evoluzione della vita va nella direzione che più si adatta ai mutamenti che l’ambiente impone. Sarà quindi necessario adattarsi a essi restando il meno possibile ancorati al passato”. Vale quindi l’aforisma: “Se il passato ti chiama, non rispondere: non ha nulla di nuovo da dirti”. Da antropologa e tarologa credo che questa ottica funzionale sia pericolosa. Come ci si comporta di fronte allo smantellamento di una popolazione indigena in nome del progresso evolutivo? Forse ci sono dei limiti nella psicobiologia e in tutto ciò che promuove solo l’evoluzione. A mia proposta è di unire il tempo, che ricalcherebbe la spirale del Dna. Questo tempo non seguirebbe la linea da sinistra a destra, tipica del pensiero razionale occidentale, e nemmeno il tempo circolare ma statico della visione orientale. Bensì una nuova visione, che unisce i due emisferi cognitivi: quello razionale e quello intuitivo, Che ne pensa?   Adéle Quing Hena AdelucCioLahotmail.com

Penso Che Lei dica cose sensate nel rifiutare la concessione psicobiologia per la quale il tempo significativo è solo il futuro perché il passato non ha più niente da dirci. La sua ipotesi di coniugare il tempo ciclico che torna su se stesso, che lei attribuisce alla cultura orientale, con il tempo lineare, che come una freccia è proiettato verso il futuro, utilizzando la bellissima immagine della spirale del Dna che torna su se stessa elevandosi a ogni giro, mi pare perfetta. Ma questo non tanto, come lei dice, per unire Oriente e Occidente, quanto piuttosto per comporre uomo e natura. Il tempo ciclico, infatti, è il tempo della natura nella successione delle sue stagioni che ogni anno si ripetono, per cui i vecchi che hanno visto tanti cicli possono insegnare ai giovani. La tradizione non è altro che la trasmissione di questa sapienza da generazione a generazione. Nel tempo ciclico non c’è futuro che non sia la semplice ripresa del passato che il presente ribadisce. Non c’è nulla da attendere se non ciò che deve ritornare. Questo è il tempo della natura scandita dal ritorno ciclico delle stagioni. Il tempo che lei definisce occidentale è propriamente il tempo dell’uomo che non guarda al passato ma al futuro. A presiederlo non è la figura del ritorno, come nel tempo ciclico, ma quello del raggiungimento di una meta, grazie alla stretta correlazione tra i mezzi a disposizione e gli scopi da conseguire, perché se gli scopi sono lontani, anche i mezzi rischiano di essere inefficaci. Il tempo dell’uomo, che essendo proiettato verso il futuro potremmo definire “progettuale”, è comunque iscritto nel tempo ciclico, la cui legge inesorabile, che destina l’uomo alla morte, ne limita la progettualità e agisce sulla scelta degli scopi, che sono realizzabili solo se il tempo progettuale non ha dimenticato la scansione del tempo ciclico. Separare un tempo dell’altro significa preparare la distruzione della Terra e con essa l’estinzione dell’umanità. Questo è quanto sta accadendo quotidianamente quando, dimenticando il tempo ciclico della natura, l’uomo sospinto unicamente dalla qualità progettuale del suo tempo, desertifica le foreste, non limita le emissioni di gas serra, estingue specie animali, non si cautela contro il riscaldamento della terra, il buco dell'ozono, la desertificazione che avanza, l’inquinamento della Terra e dei mari in vista di quegli scopi iscritti nella temporalità di una generazione che non si fa carico delle generazioni che non si fa carico delle generazioni a venire. Questa miopia antropologica che, dimentica del tempo ciclico, vive unicamente l tempo progettuale, sarà la prima causa della fine della specie umana. Qui non si tratta di armonizzare Oriente e Occidente, ma di ricomporre il rapporto tra tempo dell’uomo e tempo della natura. Ma per questo occorre abbandonare quella visione giudaico-cristiana che pensa l’uomo al vertice del creato, a cui la natura è stata consegnata per il suo dominio. Un dominio di cui oggi noi abbiamo oltrepassato la misura, passando dall’uso della terra alla sua usura. Il processo è alle soglie dell’irreversibile e ormai siamo lontani da quella concezione greca che concepiva la natura come quello sfondo immutabile che, al dire di Eraclito, “nessun dio e nessun uomo fece”. Questa distanza ormai incolmabile è quanto di più terribile attende l’uomo su questo pianeta, reso inospitale perché percepito non come materia prima. A questo punto, al di là del tempo ciclico e del tempo progettuale, la domanda che dobbiamo porci è: “C’è ancora tempo per salvare la Terra?”.
Umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 23 marzo 2019 -

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