Un Mito degli anni cinquanta
Fredo Buscaglione, torinese del 1921, ha portato una ventata di aria nuova nel panorama musicale italiano dell’ultimo dopoguerra.
Aveva cominciato dal jazz. Chi l’ha conosciuto diceva che “ce l’aveva nel sangue” in tempi in cui il regime fascista aveva vietato quella musica per radio, nelle sale da ballo, definendola “barbara e negroide”. Ma questa musica piaceva a Fred a tal punto da fargli fare, il grande salto e la rottura con la vecchia canzone dove cuore faceva sempre rima con amore.
“Un giorno decisi di arrischiare, facendo uscire la bestia che sentivo dentro per esprimermi senza nessuna reticenza”, così aveva affermato. Qualche volta era riuscito persino a suonarla durante un veglione alla sala Gay di via Pomba, dove l’Eiar trasmetteva in diretta ogni sera musiche e canzoni del maestro Angelini.
Nel suo breve itinerario musicale è quasi sempre presente il natio borgo Vanchiglia, l’operosità artigianale della sua gente con una forte identità legata a un vero e proprio gergo nato in quelle strade, ai confini tra lecito ed illecito, con una predilezione per il lavoro precario di artigiano del legno piuttosto che al posto fisso alla Fiat.
Il linguaggio è quello degli amici del bar, dove si tira tardi la sera, si scherza e si beve in compagnia, si gioca a carte e biliardo ma Fred guarda avanti senza dimenticare le sue origini. Spinto dalla mamma, frequenta il Conservatorio di piazza Bodoni e si esercita a suonare fino al mattino nella portineria di casa, fra le proteste degli altri inquilini legati alle fatiche della catena di montaggio a Mirafiori.
Dopo la liberazione, si esibisce dapprima nel dehor dell’hotel Ligure intramezzando musica nostrana a brani di jazz, Amstrong in particolare.
Con la guerra si era ritrovato in Sardegna cantando arrangiamenti musicali delle Big Band statunitensi alla radio autonoma di Cagliari, la prima ad essere liberata. Era stato adottato dagli americani e, tra una marcia di addestramento e l’altra, aveva diretto la “sezione spettacoli” dell’esercito.
Buscaglione suona per i soldati, con un suo improvviso complesso, di tutto un po’, dal semiclassico al jazz sinfonico e alla musica da ballo.
Al momento del congedo, con la sua orchestrina fa una turnèe in Europa. Viene considerato un grande violinista jazz; maneggia, con grande abilità, la fisarmonica, il sax, il pianoforte, la tromba e il contrabbasso.
Scrive musica in cui si ritrova un po’ swing, di cafè-chantant, di avanspettacolo contornata da ritmi afro-cubani e brasiliani.
La parte di strumentista e direttore d’orchestra gli va stretta e decisivo si rivela l’incontro con l’avvocato paroliere Leo Chiosso, l’amico di sempre, il compagno di barriera, scomparso da poco.
Nascono numerosi pezzi che rivoluzionano lo stile musicale dell’epoca: Tchumba-Bey e Porfirio Villarosa, una sorta di sciupa femmine impomatato che fa l’operaio alla Viscosa, con il catalogo delle donne sedotte e abbandonate. Sono i primi frutti della loro collaborazione.
Era una presa in giro della mentalità corrente che tendeva ad elevare fittiziamente i poveracci dalla loro vita grama ed immetterli in un mondo dorato con splendide fanciulle che sussurravano loro “grazie dei fior”. Da qui nascono l’ironia delle sue canzoni disincantate e parodistiche che tendono a smitizzare la vita americana in technicolor, introducendo personaggi più comuni in bianco e nero del piccolo mondo borgata in cui era cresciuto.
Vi è una contrapposizione tra il Fred delle canzoni che irridono alle mamme in preghiera e in attesa, le mogli in lacrime, i bambini smunti, le tragedie amorose e il suo look scanzonato all’americana, bulli e pupe stile anni trenta, camicie scure con cravatte chiare alla Al Capone, con i baffetti acchiappini alla Clark Gable.
Diventa un mito per i giovani di tutte le classi sociali. Tutti accorrono in via Po al “Faro” per assistere al suo spettacolo a prezzi di gravi sacrifici economici; l’ingresso, con consumazione costava ben trecentocinquanta lire, un’enormità per i giovani di allora. Erano soldi spesi bene perché di certo la serata era un divertimento assicurato non solo per la novità delle sue canzoni ma soprattutto per la sua interpretazione. Era poi gettonatissimo come i grandi, attraverso i juke box tra cui i Paltters, Frank Sinatra e Nat King Cole.
Perché Buscaglione piaceva così tanto ai giovani di allora?
Maneggiava con grande intelligenza la sottile arma dell’ironia.
Non si era mai visto un “bullo” perdente che beccava botte da tutti e passava per un “dritto”.
Il suo gruppo musicale si chiamava gli “Asternovas” di cui faceva parte Fatima Robin’s, una felliniana creatura orientale conosciuta durante una turnèe a Lugano dove lei, in turnèe col papà e il fratello, faceva la trapezista e lui, quel giorno, la prese al volo e insieme fuggirono alla volta dell’Italia.
Si sposarono nella chiesa di S. Massimo a Torino e la loro unione si rivelò, a un tempo, passionale, burrascosa, piena di sussurri e grida.
Da questo movimentato menage nacquero i più grandi successi musicali di Fred: Che Bambola!, Eri Piccola, Che Notte, Teresa non sparare, Whisky facile, Le rififì, Guarda che luna, il Dritto di Chicago, Love in Portofino per non citare che le più note.
Con la sua voce roca, cartavetrata, un po’ alla Amstrong, incantava e divertiva tutti. Love in Portofino è una parentesi rosa, fra uno screzio e l’altro, con la bella Fatima.
E poi il tragico schianto della Thunderbird rosa confetto, lanciata ai cento all’ora, contro un camion carico di blocchi di tufo nei pressi di una cava romana alle 6,20 del 3 Febbraio 1960 dopo una notte brava. Aveva solo 39 anni e il suo nome entrava per primo nella leggenda seguito da due miti dello schermo, James Dean e Marilin Monroe anche loro morti prematuramente.
I funerali a Torino, fra un mare di folla, tra cui moltissimi i giovani coi libri sotto il braccio o in tuta, che rompe gli sbarramenti della polizia per accarezzare il feretro di un ragazzo di borgata, nato e cresciuto in una casa di ringhiera del vecchio “Borg’ Del Fum” proprio come loro.
Non si era mai visto niente di simile sotto la Mole a parte i funerali dei calciatori del grande Toro.
Domenico Bicchi
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