Anche In Italia Avanzano I Biomediatici
E non E’ Solo Un Bene
Sono i “sempre connessi” , con smarthphone e tablet. Soprattutto giovani, ricevono molte informazioni, ma non distinguono tra fonti più o meno autorevoli, e mettono costantemente in piazza la loro vita
Stiamo diventando biomediatici. No, non vi preoccupate, non è una nuova malattia: “Con biomediatica” spiega Massimiliano Valerìì del Censis, l’lstituto di ricerca socioeconomico che ha appena pubblicato il suo decimo rapporto annuale sulla comunicazione in Italia, “si intende l’uso di dispositivi digitali portatili, tipo smarthphone e tablet, per restare sempre connessi alla rete, così da creare contenuti legati alla propria vita quotidiana, da condividere sui social network. La macchina diventa una sorta di protesi mentale, estensione della memoria e specchio in cui ci contempliamo, gratificati dal numero di “mi piace”. Un trionfo del narcisismo on line, che distorce il concetto di privacy, visto che si teme più l’uso dei dati personali da parte di chi fornisce i servizi, che il rendere noto a tutti fallimenti, vizi e debolezze”. I numeri rilevati dal rapporto, non lasciano dubbi: sono ormai connessi a internet il 62 per cento degli italiani – contro il 45 per cento del 2007 – e il 66 per cento di questi è iscritto a social network. Nella fascia giovane, sotto i 30 anni, le percentuali diventano “bulgare”: il 90 per cento usa i social network, a cui, nel 54 per cento dei casi, resta collegato sempre e ovunque, grazie a uno smartphone. Sta insomma apparendo una generazione di cyborg, dotati di estensioni corporee per vivere sospesi fra mondo reale e mondo online. “Ma attenzione, non si tratta di una dicotomia alla “Second Life”, il mondo virtuale dove si vive tramite avatar una “seconda vita” diversa dalla propria. I biomediatici integrano invece, senza soluzione di continuità, il mondo reale con quello online, usando il secondo come continuazione e vetrina del primo”. Si tratta di un cambiamento antropologico dalle conseguenze imprevedibili sul lungo termine, le cui prime peculiarità cominciano a essere evidenti. “Per esempio nel modo in cui ci si informa. Sta diminuendo drasticamente l’uso dei media cartacei: oggi fa a meno di libri e giornali il 45,5 degli italiani, e ben il 31 per cento dei più istruiti, contro il 39,9 del 2006. E se per i giornali questa caduta è in parte compensata dalla lettura delle loro versioni digitali, per i libri, forse perché opposti alla sintesi informativa alla Twitter, si assiste a un vero crollo: ormai poco meno della metà degli italiani ne legge almeno uno l’anno, mentre usano gli ebook solo il 2,7 per cento. Questo informarsi solo online sta creando un nuovo fenomeno: mentre per gli over 30 c’è ancora una gerarchia di autorevolezza fra i vari mezzi di informazione, i giovani non fanno molte distinzioni, giornali o blog, tv o twit, per loro è tutto ugualmente credibile. L’ascolto di un mezzo dipende più dalla sua capacità di indurre emozioni che da quella di stimolare ragionamenti”. Visto che i biomediatici tendono anche a prendere dalla rete solo ciò che già conoscono e che conferma le loro opinioni, avanza una sorta di “nuovo conformismo”, caratterizzato da scarsa volontà di approfondimento, amore per gli slogan e approccio emotivo alle discussioni. Sarà un caso che in internet siano nate e si radichino le nuove forme di populismo?
Alex Saragosa – 1-3-13
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