Se Il Web Ci Nega Il Diritto All’Oblio
La ricerca del tempo perduto diventa un’applicazione.
Con Rewind.Me per esempio, il nostro passato ricompare
Sul display ora per ora. Persone, eventi, momenti, commenti, immagini, filmati.
Opinioni, emozioni e condivisioni. L’app va a rovistare in automatico nei social network e ci restituisce la scatola nera di quel che abbiamo fatto.
Ci ricorda dove abbiamo navigato, con chi abbiamo chattato, quel che abbiamo twittato, taggato, postato e forse anche pensato. E così ci rivediamo in uno specchio ad altissima definizione.
E’ un “come eravamo” che non ha nulla della vaghezza nebulosa, quasi onirica, del ricordo. Che spesso gioca a nostro favore, perché rimuove quel che preferiamo dimenticare. Colorando il passato, ritoccandolo come un foto shop dell’inconscio. Invece le applicazioni rammemoranti non fanno sconti e più che ai meccanismi mnestici somigliano a delle intercettazioni. Perché smontano i nostri alibi. E soprattutto aboliscono la dimensione dell’oblio.
Così ciascuno di noi può diventare l’investigatore di se stesso. Può autopedinarsi sul web grazie a questa specie di time machine che ci aiuta a tenere a mente cose, persone, particolari che altrimenti finirebbero inghiottiti dal nostro eterno presente digitale. Insomma sono la nostra madeleine virtuale. Immaginatevi se Proust avesse potuto scaricarsi Rewind. Me. Le tremila pagine della Recherche sarebbero diventate almeno trentamila. Per la gioia di alcuni lettori e la disperazione degli altri. Me compreso.
Marino Niola – 1-3-13
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