Trapianti. Quel cuore di Barnard
che batte da 50 anni
Era il
3 dicembre 1967 quando il chirurgo sudafricano decise di eseguire un intervento
che ha segnato la storia della medicina e la vita di migliaia di persone.
Ricordo e testimonianza
Due mondi lontanissimi. Entrambi in incessante movimento,
sussultorio e rotatorio. Tutti e due, a modo loro, irraggiungibili. Almeno fino
a mezzo secolo fa. Il cuore e la Luna. Le due più grandi conquiste, sul finire
dei convulsi anni Sessanta. Tra crisi atomiche, guerre fredde e muscolari sfide
spaziali. Ma fu Christian Barnard con il suo bisturi il primo
a volare oltre l’ignoto battendo Armstrong, Aldrin e Collins con il loro Apollo
11. Viaggi diversi, tra proibitivi anfratti del corpo umano e orbitali
traiettorie spaziali. In ogni caso oltre le frontiere mai esplorate prima.
Era il 3 dicembre del 1967 quando quel 35enne chirurgo
sudafricano provò su una donna e un uomo, con coraggio e sfrontatezza, ciò che
fino ad allora aveva sperimentato soltanto su cani, babbuini e scimpanzé. Il
giorno prima, verso sera, al pronto soccorso del Grote Schuur Hospital di Città
del Capo erano arrivate una madre e la figlia 25enne, Denise Darvall,
investite mentre attraversavano la strada. Per la madre non c’era più niente da
fare. Sulla figlia si tentò il tutto per tutto, ma il trauma cerebrale della
giovane era irreversibile. Il suo cuore però continuava a battere. La
condizione ideale per la “pazza idea” di Barnard. Per anni si era esercitato
con organi di animali. Sull’uomo era stato pioniere nel suo Paese trapiantando
un rene, nel 1959 (il primo al mondo era già stato eseguito sei anni prima
negli Stati Uniti). Ma il cuore era ancora un tabù.
Dodici minuti dopo l’arresto cardiaco di Denise, a capo di un team di trenta
persone tra medici e infermieri Barnard preleva il cuore della giovane per
trapiantarlo al 54enne Louis Washkansky. Nove ore di intervento.
Quasi all’alba di domenica 3 dicembre, come oggi, mezzo secolo fa, la storia
fece un triplo salto epocale. Il ricevente, già in condizioni critiche,
sopravvisse soltanto 18 giorni ma spianò la strada al secondo trapianto, un
mese dopo. Il cuore di un nero, Clive Haupt, venne trapiantato a un
uomo bianco, il dentista Philip Blaiberg, che vivrà per 19 mesi.
L’anno dopo a ricevere un cuore sarà per la prima volta una donna, di colore:
Dorothy Fisher visse dodici anni e mezzo. Allora la ciclosporina, un principio
attivo ricavato da miceti, non c’era ancora. Arrivò nel 1979 e da quel momento
il successo dei trapianti di cuore (e degli altri organi) crebbe sempre più. Il
rigetto d’organo da parte del sistema immunitario verrà sempre meglio
neutralizzato.
Oggi la sopravvivenza media supera i dieci anni e i
cardiotrapiantati nel mondo sono circa settemila l’anno. In questa sempre
più nutrita schiera, quasi cinque anni fa è stato arruolato anche il
sottoscritto. Al posto di Barnard un suo bravissimo epigono italiano. Il giorno
dell’addio al mio originario cuore era ancora una domenica, ma di marzo. Anche
per me c’è una “novella” Denise, a cui poter dire sempre grazie.
Quella che i cardiologi definiscono la pandemia del terzo millennio, lo
scompenso cardiaco, aveva infatti colpito anche me. Fiato sempre più corto,
dolore all’altezza dello sterno, estrema debolezza e molto altro di
inspiegabile. Perché il cuore è anche l’albergo dell’anima. Per questo
si può morire di crepacuore. Non succede soltanto a certi personaggi
delle fiabe. Insomma, un fulmine a ciel sereno. Ma non per i cardiologi che ben
riconoscono questi sintomi e il loro significato. “Non le resta che il
trapianto” mi fu detto una mattina di gennaio. C’era la neve e una inquietante
diversa Auschwitz dentro di me.
Poco o nulla si sa di un altro gigantesco protagonista di quel 3 dicembre
1967. Edward Darvall aveva appena perso la moglie e la figlia,
avrebbe facilmente potuto mandare a quel paese Barnard e il mondo intero.
Eppure disse sì, cambiando la storia dell’umanità. Dissero sì anche Reginald
e Maggie Green quel 1° ottobre 1994 dopo che il loro Nicholas era
stato ucciso a 7 anni sulla Salerno-Reggio Calabria dal fuoco di una banda di
rapinatori mentre era in auto addormentato sul sedile posteriore. Dei suoi
organi beneficiarono sette bambini italiani. Da quel momento la cultura
della donazione di organi decollò anche da noi e oggi l’Italia da
fanalino di coda è ai primi posti in Europa per numero di trapianti. L’anno
scorso, da cadavere, ne sono stati effettuati 3.417 (più del 2015) e quest’anno
stando ai dati preliminari del primo semestre sarebbero addirittura in
ulteriore aumento.
Eppure non bastano e non basteranno mai. Le liste di attesa restano
lunghissime (a oggi 9.143 persone aspettano un organo) e,
statisticamente, molti non ce la faranno ad arrivare al salvifico trapianto. I
potenziali donatori iscritti (tra Asl, Comuni e Aido) sono quasi due milioni e
trecentomila. La nuova frontiera? Si guarda alle staminali, ma per il cuore
quel traguardo è ancora lontano. Il muscolo cardiaco è un tessuto molto
differenziato e le sue cellule devono sapersi coordinare e organizzare per
generare un incessante processo elettrico. Il cuore è il motore della vita. E,
come tale, avvolto in un mistero. Più della Luna. Un mistero che si fa dono.
Massimo Iondini
https://www.avvenire.it/agora/pagine/primo-trapianto-di-cuore-50-anni-fa
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