Le feste di
Natale richiamano purtroppo alla memoria la tragica strage che la sera del 23
dicembre 1984 colpì il treno sotto la Grande Galleria della Direttissima tra
Firenze e Bologna e che costò la vita a 16 vittime e fece 267 feriti – Il
racconto di quei giorni drammatici
La “Strage di Natale”:
così fu chiamato l’attentato
al Rapido 904 (che proveniva da
Napoli e viaggiava in direzione di Milano), che avvenne proprio sotto la Grande Galleria della
Direttissima tra Firenze e Bologna il 23 dicembre 1984, poco
dopo le 19. Morirono in quell’occasione 16 persone e 267 rimasero
ferite. I “bombaroli” avevano progettato con cura e ferocia il loro delitto. La
valigia con l’ordigno era stata collocata su di una vettura centrale (le
indagini scoprirono che ciò era accaduto durante la sosta nella stazione di
Santa Maria Novella a Firenze) ed era stata fatta esplodere, con comando a
distanza, mentre
il convoglio transitava sotto la galleria, allo scopo di creare più danni e rendere più
difficili i soccorsi. Allora non esistevano i cellulari e fu
anche difficile dare l’allarme. I soccorsi arrivarono sia da Firenze che da
Bologna (poi si constatò che il convoglio al momento dello scoppio era ancora
in Toscana): ma è facile immaginare le dimensioni della tragedia. Tutto si
svolgeva all’interno di una galleria, al buio, con morti e feriti, per soccorre i quali
occorreva entrare a piedi ed accompagnarli fuori dove si erano fermate le
autoambulanze. Era anche complicato raggiungere il luogo della strage,
percorrendo le strade di montagna, coperte di neve, ben presto bloccate dal
traffico di quanti si recavano sul posto. Ecco come le cronache ricordano
quella tragica notte.
“I soccorsi ebbero difficoltà ad
arrivare, dato che l’esplosione aveva danneggiato la linea
elettrica e parte della tratta era isolata, inoltre il fumo dell’esplosione
bloccava l’accesso dall’ingresso sud, dove si erano concentrati inizialmente i
soccorsi, che impiegarono
oltre un’ora e mezza ad arrivare. I primi veicoli di
servizio arrivarono tra le 20:30 e le 21:00: non sapevano cosa fosse successo,
non avevano un contatto radio con il veicolo coinvolto e non disponevano di un
ponte radio con le centrali operative periferiche o quella di Bologna. I
soccorsi, una volta sul posto, parlarono di un «fortissimo odore di polvere da
sparo».
“Venne
impiegata una
locomotiva diesel-elettrica, guidata a vista nel tunnel, che fu
per prima cosa usata per agganciare le carrozze di testa rimaste intatte, su
cui furono caricati i feriti. Un solo medico era stato assegnato alla
spedizione. L’uso della motrice diesel rese però l’aria del tunnel irrespirabile,
per cui servì usare bombole
di ossigeno per i passeggeri in attesa di soccorsi. Con l’aiuto
della macchina di soccorso, i feriti vennero portati alla stazione di San
Benedetto Val di Sambro (lì dieci anni prima si era consumata la strage
dell’Italicus, ndr), seguiti subito dopo dagli altri passeggeri illesi. Uno dei
feriti, una donna, venne trovata in stato di choc in una nicchia della
galleria, e fu portata a braccia fino alla stazione di Precedenze (che si trova
circa a metà della galleria ed è utilizzata come posto di comunicazione)”. La
notizia della strage arrivò insieme ai soccorsi.
Io allora ero segretario
generale della Cgil dell’Emilia Romagna. In quelle ore mi trovavo a casa,
quando mi arrivò una telefonata di Cesare Calvelli, assistente di Ottaviano Del
Turco e mio grande amico (purtroppo scomparso anni fa). Appresa la notizia,
Calvelli si recò in ufficio nel palazzo color salmone di Corso Italia per
seguire la situazione e pensò subito di avvertirmi. Mi precipitai nella sede di
via Marconi e mi attaccai al telefono, per avvisare i miei colleghi di Cisl e
Uil e concordare delle iniziative, man mano che pervenivano notizie
dell’attentato. Mi chiamò il segretario regionale del Pci, Luciano Guerzoni
(immagino da Modena, dove abitava). Io ero socialista, ma i dirigenti comunisti
erano corretti e quando si trattava di avere rapporti ufficiali con la Cgil si
rivolgevano a me.
Del
resto – se ben ricordo – il mio vice comunista Alfiero Grandi, che risiedeva a
Sasso Marconi, si era messo in auto per raggiungere il passo del Vernio (dove
era avvenuta la strage), ma era rimasto bloccato per strada. Quando le notizie
presero corpo e fu chiara la natura dell’attentato non ebbi difficoltà a
trovare un’intesa con i segretari di Cisl e Uil e a redigere un comunicato –
che loro approvarono quando glielo lessi per telefono – con il quale veniva
promossa una
manifestazione nel pomeriggio della vigilia a Bologna. Quando
Guerzoni mi richiamò e gli comunicai l’intesa raggiunta, lui annunciò che
avrebbe rinunciato ad iniziative di partito e che il Pci avrebbe aderito alla
manifestazione dei sindacati. I miei colleghi non fecero obiezioni. Quando
Grandi riuscì a chiamarmi proponendomi un’azione della Cgil, gli risposi – con
un po’ di soddisfazione – che avevo già provveduto a promuovere una
manifestazione unitaria, d’accordo anche con il segretario del Pci. Allora
erano tempi fatti così. Lo dico con nostalgia.
Chi
scrive – dopo l’esperienza alla Fiom nazionale – era ritornato a Bologna nel
1974, assumendo vari ruoli nella segreteria regionale (allora questa struttura
stava prendendo una fisionomia definita, come istanza congressuale). Ci rimasi
per 11 anni, gli ultimi 5 in qualità di segretario generale. Ho pertanto visto
da vicino i
tre attentati che colpirono (nel 1974, nel 1980, nel 1984) la mia
città. Per quanto riguarda la strage di Natale le indagini si indirizzarono
presto verso le organizzazioni mafiose, come preludio degli attentati dei primi
anni ’90.
La
Corte d’assise di Firenze, il 25 febbraio 1989,
condannò alla pena dell’ergastolo Giuseppe Calò, Guido Cercola e altri imputati
legati al clan camorristico Misso (Alfonso Galeota, Giulio Pirozzi e Giuseppe
Misso, detto «il boss del rione Sanità»), con l’accusa di strage. Inoltre,
condannò a 28 anni di detenzione Franco D’Agostino, a 25 anni Schaudinn (un
dinamitardo tedesco), e condannò altri imputati nel processo per il reato di
banda armata.
Il
secondo grado venne celebrato dalla Corte d’assise d’appello di Firenze,
presieduta dal giudice Giulio Catelani, con sentenza emessa il 15 marzo 1990.
Le condanne all’ergastolo per Calò e Cercola furono confermate, mentre la pena
di Di Agostino fu ridotta da 28 a 24 anni. Misso, Pirozzi e Galeota furono
invece assolti per il reato di strage, ma condannati per detenzione illecita di
esplosivo. Il tedesco Schaudinn venne invece assolto dal reato di banda armata,
ma fu confermata la sua condanna per strage con pena ridotta a 22 anni. La
Cassazione annullò la sentenza di appello, che però venne sostanzialmente
confermata nel nuovo giudizio di secondo grado. Ma la vicenda – nonostante le
sentenze passate in giudicato – conserva un insieme di aspetti non chiariti, come accadde
per tante vicende dello stragismo di quel travagliato periodo della storia
italiana. (di Giuliano Cazzola)
https://www.firstonline.info/la-strage-di-natale-del-rapido-904-che-insanguino-le-feste-di-35-anni-fa/
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