Nel 1949 veniva pubblicato uno dei
romanzi più famosi di George Orwell dopo “La Fattoria degli Animali”:
settant’anni fa si dispiegava davanti ai nostri occhi un mondo distopico
governato dal Grande Fratello, dalla psicopolizia e dal Bispensiero. Ad oggi,
rileggendo “1984”, l’opera dello scrittore inglese cambia volto: non più tanto
una distopia inquietante e possibile, ma una realtà attuale e tangibile.
“I libri migliori sono quelli che ci
dicono quel che già sappiamo”: è con quest’unica frase che George Orwell ha
sempre definito il suo modo di scrivere. Ed è in “1984” che questa verità si
palesa nel modo più evidente possibile, attraverso la finzione letteraria di un
mondo che, a ben vedere, ha poco di “irreale”: il romanzo venne pubblicato nel
1949 e a rileggerlo ora, dopo settant'anni, la sensazione di trovarsi difronte
ad un’opera che non ha semplicemente immaginato un mondo spaventosamente
possibile, bensì una realtà a tutti gli effetti già realizzata, è schiacciante.
1984 ha immediatamente colpito
l’immaginario comune grazie alle metafore letterarie utilizzate da Orwell per
spiegare le dinamiche di un mondo totalizzante, disarmante e alienante.
L’illusione della possibilità di un bispensiero laddove è chiaro che l’unico
pensiero possibile è univoco e incontestabile fu un’intuizione geniale, così
come l’immagine del Grande Fratello che spia costantemente i suoi sottoposti
con la giustificazione della sicurezza che è in realtà volontà cieca di controllo
è stata una delle più emblematiche del secolo.
Quando inizia a scrivere il romanzo
Orwell ha ben presente la realtà in cui vive, e le degenerazioni alle quali i
meccanismi del Potere potevano portare: era stato lui stesso uno dei piccoli
ingranaggi del sistema, con il suo lavoro per la BBC. Conosceva bene i
meccanismi del linguaggio, e della censura, e tutto l’arsenale di mezzi
disponibili affinché lo stato di cose funzioni. Storicamente, si legge 1984
come una forte critica, fra le altre cose, ai totalitarismi di cui il mondo
aveva fatto esperienza durante e dopo la Seconda Guerra mondiale. Ma il romanzo
orwelliano, oggi, si può continuare a leggere nella sua significativa attualità
come una cronaca mascherata (dalla finzione letteraria) della realtà. Qualcuno
ha detto che in 1984 si parla “del nostro mondo che agonizza davanti a noi”:
Sapere e non sapere; credere
fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciavano le menzogne più
artefatte; ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullano a
vicenda; sapendole contraddittorie fra di loro e tuttavia credendo in entrambe,
fare uso della logica contro la logica; rinnegare la morale propria nell'atto
di rivendicarla (…).dimenticare tutto ciò che era necessario dimenticare ma, all'occorrenza,
essere pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di
nuovo.
Nel mondo immaginato da Orwell la
geografia del dominio è molto chiara: la guerra è lo strumento con cui Oceania,
Eurasia ed Estasia mantengono la pace. Il paradosso espresso dal primo dei tre
principi cardine dell’ideologia del Socing non potrebbe essere più disarmante
nella sua inquietante semplicità: l’odio generalizzato per il nemico imposto
dal Potere garantisce il perfetto equilibrio delle parti e assicura
l’isolamento necessario affinché i cittadini non si pongano domande né cerchino
alternative. In un mondo in cui è la guerra a garantire la sopravvivenza, oltre
che il benessere economico, nessuno chiederà mai la pace.
Così come nessuno chiederà mai la
libertà: essere liberi vuol dire essere costantemente in pericolo. Solo
sottomettendosi al Potere l’uomo può sopravvivere, in quanto parte di una
granitica entità, l’unica capace di auto conservarsi: la libertà è qualcosa di
troppo imprevedibile, fa paura, perché comporterebbe una fiducia nel prossimo
che il Potere non può ammettere e che l’uomo bispensante non sa gestire. È la
schiavitù ad essere l’unica vera forma di libertà possibile.
Una schiavitù che è anche mentale, e
che trova la sua più grande alleata nell'ignoranza. È questa la vera forza del
Potere: riuscire ad impedire l’autocoscienza dei cittadini, infarcendo le menti
di verità preconfezionate e non verificabili perché insindacabili: mantenere
l’ignoranza, attraverso la censura e la propaganda, è l’unico mezzo davvero
indispensabile affinché la società funzioni.
È questo il mondo descritto da
Orwell. Un mondo spaventoso e indesiderabile: una prospettiva da cui,
attraverso la definizione stessa di “distopia”, abbiamo tentato di
allontanarci, come se fosse un orizzonte possibile ma evitabile, facendo le
mosse giuste. Ma il romanzo di Orwell non ha, in realtà, “immaginato” niente:
Winston Smith, il protagonista, è lo specchio attraverso cui si riflette un
mondo che lungi dall'essere “futuro”, è stato Passato ed è Presente.
Al futuro o al passato, a un tempo in
cui il pensiero è libero, quando gli uomini sono differenti l'uno dall'altro e
non vivono soli…a un tempo in cui esiste la verità e quel che è fatto non può
essere disfatto. Dall'età del livellamento, dall'età della solitudine, dall'età
del Grande Fratello, dall'età del Bispensiero… tanti saluti!
Nessun commento:
Posta un commento