Mohamed Bouazizi, due anni
dopo
La
storia del ragazzo che il 4 gennaio 2011 morì dopo essersi dato fuoco a Tunisi,
dando inizio a cambiamenti epocali in Nord Africa e Medioriente
Bouazizi era nato il 29 marzo del 1984 da
una famiglia molto povera nel paesino di Sidi Bouzid. Suo padre lavorava in
Libia come muratore e morì quando Bouazizi aveva tre anni. La madre Manoubia si
sposò tempo dopo con un fratello del marito, con cui ebbe altri sei figli.
Bouazizi iniziò a fare lavoretti dall’età di dieci anni per aiutare lo zio –
che aveva molti problemi di salute – a portare a casa qualche soldo in
più. Da ragazzino abbandonò la scuola e iniziò a lavorare a tempo pieno come
venditore ambulante di frutta e verdura: manteneva la madre, lo zio, i
fratellastri più piccoli e pagava gli studi universitari di una sorella.
Il Washington Post in un
articolo di un anno fa ha raccontato che
la sera del 16 dicembre 2010 Bouazizi era molto soddisfatto della frutta che
aveva appena comprato, indebitandosi: era convinto che fosse la più bella che
avesse mai visto, che avrebbe fatto buoni affari e che avrebbe potuto comprare
un regalo a sua mamma. La mattina dopo all’alba imbracciò il suo carretto e
andò al mercato del paese. Due poliziotti – tra cui una donna, Fedya Hamdi –
gli bloccarono la strada e cercarono di sequestrargli la frutta. Lo zio si
intromise per aiutare il nipote: chiese aiuto al capo della polizia che ordinò
agli agenti di lasciarlo stare. Bouazizi non aveva una licenza per vendere la
frutta al mercato e non era la prima volta che veniva redarguito – e a
volte anche maltrattato – dai poliziotti. Non era l’unico: spesso gli agenti
confiscavano a proprio piacimento la merce dei venditori approfittando della
loro posizione di forza. L’abuso di potere era uno dei problemi più diffusi
nella Tunisia di Ben Ali – al governo da 23 anni – insieme alla povertà, alla
mancanza di lavoro e alla corruzione diffusa.
Quel giorno la poliziotta Feyda Hamdi,
arrabbiata per il richiamo del superiore, andò al mercato, prese un cesto di
mele dal carretto di Bouazizi e se lo mise in macchina. Alladin Badri, un
venditore che assistette alla scena, racconta che la poliziotta iniziò a
trasportare un altro cesto e questa volta Bouazizi cercò di fermarla. Hamdi lo
spinse, lo colpì con lo sfollagente e gli sequestrò la bilancia. Poi lo
schiaffeggiò davanti a tutti: erano presenti circa cinquanta persone. Il
ragazzo scoppiò a piangere per l’umiliazione (aggravata dal fatto che a farlo
era stata una donna). Testimoni hanno raccontato che Bouazizi chiese alla
poliziotta: «Perché mi fai questo? Sono una persona semplice, voglio solo
lavorare».
Bouazizi decise di lamentarsi
dell’umiliazione subita: andò al municipio di Sidi Bouzid e chiese di
incontrare il governatore della regione o almeno un funzionario, ma un
impiegato gli rispose di tornarsene a casa. Il ragazzo andò al mercato e disse
agli altri venditori che si sarebbe dato fuoco per mostrare al mondo
l’ingiustizia con cui venivano trattati. Uno di loro, Hassah Tili, ha
raccontato al Washington Post che «pensavamo dicesse così per
dire». Pochi minuti dopo però i venditori udirono delle urla poco lontane. Si
precipitarono nella piazza davanti al municipio e scoprirono che Bouazizi si
era dato fuoco cospargendosi con una sostanza infiammabile, probabilmente
benzina. Qualcuno cercò di spegnere le fiamme gettando dell’acqua e peggiorando la situazione.
Altri si precipitarono nell’edificio in cerca di un estintore; lo trovarono ma
era vuoto. Altri allora cercarono la polizia ma non arrivò nessuno. L’ambulanza
arrivò dopo un’ora e mezza.
Bouazizi venne trasportato in ospedale e i
venditori avvisarono sua madre, che nel frattempo stava raccogliendo olive per
un dinaro al giorno, l’equivalente di mezzo euro. Successivamente la madre ha
detto di essere orgogliosa del gesto del figlio, che aveva contribuito a
cambiare le cose, e spiegato che non era stato dettato dalla povertà ma
dall’umiliazione che aveva ricevuto e dalla dignità ferita. Anche una sorella
del ragazzo ha confermato che
la vergogna era stata aggravata dal fatto che il poliziotto fosse una donna.
Il 18 dicembre un centinaio di persone si
radunò davanti al municipio per protestare contro il maltrattamento di Bouazizi
e le angherie della polizia. La cosa sarebbe forse finita lì o si sarebbe
trascinata per ancora pochi giorni, se un cugino del ragazzo non avesse filmato
la manifestazione con il cellulare e non l’avesse diffusa su Internet. Il video
venne notato da Slim Amamou, un blogger
tunisino di 33 anni che da quattro anni
raccontava in modo critico il regime di Ben Ali. Amamou rilanciò il video su
Facebook che, contrariamente ad altri social network o canali come YouTube,
stava crescendo in modo rapido e improvviso in Tunisia e non era stato ancora
messo sotto controllo dalla censura del regime. La Tunisia è il paese arabo con
il più alto tasso di persone che usano Internet e in pochissimo tempo il
video venne condiviso e visto da migliaia di persone. Nel frattempo venne
rilanciato anche da Al Jazeera, il canale televisivo – con sede in
Qatar – più seguito del mondo arabo. La tv di stato tunisina raccontò la
storia di Bouazizi dopo dodici giorni da che si era dato fuoco.
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