Paolo
VI. «Apriamoci a tutti» E nacque Avvenire
Nel cinquantesimo
anniversario della fondazione del quotidiano cattolico milanese L’Italia, l’allora
arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini esortò i cattolici ambrosiani a
«formarsi la coscienza giornalistica che a loro si addice » mantenendosi
«fedeli» al giornale cattolico, che era diffuso oltre i confini della loro
diocesi e della regione lombarda. A esso – scriveva Montini nel novembre del
1962, concludendo le manifestazioni indette per celebrare l’anniversario –
spettava il compito di seguire «con particolare interesse le vicende della
nostra società in via di trasformazione, con l’intento di educare il nostro
popolo al senso di giustizia e di carità e di favorire lo sviluppo economico e
sociale, secondo gli insegnamenti della sociologia cristiana» e inoltre proprio
il giornale avrebbe dovuto studiare e riflettere «i grandi problemi del nostro
tempo» con la passione e la speranza «d’un progressivo ordine civile e
cristiano ». Il quotidiano cattolico «è insomma – terminava Montini –
un giornale che cerca di affermarsi come testimonianza sincera e moderna d’un
cattolicesimo vivo».
L’appassionato
interesse per il mondo della stampa e dell’informazione aveva in Giovanni
Battista Montini antiche e profonde radici. Paolo VI è
stato indubbiamente il Papa che, più di tutti i suoi predecessori, conobbe
meglio il mondo del giornalismo, avendolo frequentato e praticato sin da
ragazzo. Ricevendo i rappresentati della stampa cattolica italiana dopo la sua
elezione, il nuovo Pontefice ricordò il padre Giorgio Montini, «giornalista
d’altri tempi, si sa, e giornalista per lunghi anni, direttore d’un modesto, ma
ardimentoso quotidiano di provincia», Il Cittadino di Brescia,
che nel ruolo della stampa aveva intravisto «una splendida e coraggiosa
missione al servizio della verità, della democrazia, del progresso; del bene
pubblico in una parola». Montini era fermamente convinto che i mezzi di
comunicazione potessero essere ausiliari alla Chiesa nel fondamentale compito
di annunciare il Vangelo. «Per una fede come la nostra – diceva nel 1962 ai
giornalisti de L’Italia – che ha per primo strumento la
comunicazione del pensiero, anzi della verità, questo organo di diffusione
della parola di verità, ch’è un giornale cattolico, appare sotto questo aspetto
in tutta la sua funzionalità e dignità». Già nel 1950, discutendo con l’amico e
filosofo Jean Guitton, Montini si interrogava sulla efficace capacità della
Chiesa di saper comunicare al mondo la verità della quale è portatrice: «A cosa
serve dire quello che è vero, se gli uomini del nostro tempo non ci
capiscono?».
Proprio in quegli
anni, tra il 1949 e il 1950, l’allora sostituto Montini presiedette
una riunione in Segreteria di Stato, ove si valutò l’eventualità di un
“assorbimento” del quotidiano cattolico bolognese L’Avvenire d’Italia da
parte de L’Italia, che avrebbe così potuto ampliare la sua
area di diffusione nel Nord e nel Centro del Paese. L’idea di un quotidiano
cattolico che avesse una più ampia distribuzione riemerse più forte e
coraggiosa negli anni in cui Montini era arcivescovo di Milano
e seguiva personalmente le vicende de L’Italia dalla cui unificazione
con L’Avvenire d’Italia, il 4 dicembre del 1968, sarebbe
nato Avvenire. «L’esperienza del mio ministero – disse
l’allora arcivescovo di Milano già nel dicembre 1955, a conclusione del suo
primo anno di episcopato, ricevendo in udienza tutti i dipendenti de L’Italia –
mi fa ora meglio apprezzare l’importanza e l’urgenza di una stampa nostra,
sana, forte, efficace, pronta ad affermare con nobiltà e con coraggio i diritti
della verità, gli insegnamenti della Chiesa, gli interessi cattolici».
La stampa cattolica
italiana, seppur di antica tradizione, restava però ancorata prevalentemente
alle singole realtà diocesane o a particolari gruppi religiosi. Diventato Papa, Paolo
VI, con molta determinazione, perseguì il suo intento, riuscendo a superare
le perplessità della maggior parte dell’episcopato italiano, preoccupato per le
ripercussioni finanziarie di una tale impresa. I vescovi italiani, infatti,
avevano accolto con riluttanza l’idea di far nascere un quotidiano cattolico
nazionale e la accettarono infine solo per obbedire al fermo volere del Papa.
Erano emerse molte resistenze al progetto di unificazione dei due quotidiani
cattolici, sia a Milano che a Bologna. Una risoluta contrarietà fu manifestata
dal card. Giovanni Colombo, che era diventato arcivescovo di Mila- no nel 1963
succedendo proprio a Montini, e che conosceva bene i problemi della
stampa cattolica essendo stato presidente dell’Itl, società editrice de L’Italia. A
Bologna il card. Giacomo Lercaro difese strenuamente L’Avvenire
d’Italia, gravato da un pesante deficit, e si rivolse, con una
accorata lettera, direttamente al Papa, che aveva espresso in precedenza alcuni
rilievi sull’indirizzo politico-religioso del giornale. Paolo VI impose ai
vescovi la sua volontà di dar vita a un quotidiano nazionale dei cattolici
italiani dimostrandosi lungimirante e tutt’altro che amletico e incerto.
Papa Montini si rivelò
invece molto fermo e determinato nel far nascere e sostenere Avvenire, intraprendendo
una iniziativa editoriale di grandissimo spessore che non aveva eguali nel
panorama della stampa cattolica europea ed internazionale. Il giornale,
realmente e quasi concretamente fondato da Paolo VI, incentivando una maggiore
unità nel mondo cattolico, avrebbe potuto rappresentare un vero «strumento di evangelizzazione»
la quale, sola, «porta con sé – spiegava il Papa – l’elevazione dell’uomo, ne
promuove la dignità, la libertà, la grandezza ». Ad Avvenire non
mancò mai la vigile protezione del Papa che seguì il giornale con quotidiana,
costante e paterna attenzione, fino alla morte. Egli stesso, durante un’udienza
ai giornalisti cattolici, confidò che il primo giornale da lui letto al mattino
era Avvenire, mentre, nel 1969, ricevendo il segretario della
Conferenza episcopale italiana, monsignor Andrea Pangrazio, Paolo
VI affrontò come primo argomento «la situazione del quotidiano
cattolico», e ribadì che, nonostante le difficoltà incontrate dall’ancor
giovane Avvenire, «la parola d’ordine» era quella di
«sostenere il quotidiano cattolico». Il giornale, che doveva avere carattere
nazionale, era rimasto nei primi tempi prevalentemente diffuso nel Nord e nel
Centro della Penisola, mentre più stentata sembrava la ricezione nel Sud del
Paese, ma nell'estate del 1971 i vescovi meridionali, rispondendo agli inviti e
alle raccomandazioni di Paolo VI, si riunirono per discutere la realizzazione
di un’edizione di Avvenire per il Sud, che venne poi
realizzata a partire dalla primavera del 1972 nella sede di Pompei. I vescovi
italiani si interrogarono a lungo sulla finalità e sulla natura del quotidiano
cattolico mentre per il Papa, che rivide personalmente le Linee pro- grammatiche del
quotidiano stabilite dalla Cei, il giornale avrebbe dovuto avere carattere
formativo oltre che informativo, «così da fare di Avvenire uno
strumento di vera crescita spirituale di tutto il popolo di Dio». «Dobbiamo
avere una maggiore coesione fra di noi – era l’accorato e improvvisato appello
rivolto dal Papa agli operatori delle comunicazioni sociali nel 1971 –, una
maggiore coscienza che noi dobbiamo parlare, parlare insieme ». Il giornalista
di Avvenire doveva diventare un «alleato del Papa», secondo
un’espressione propria di Paolo VI, in questo difficile compito di
evangelizzazione. «Siate apostoli» è l’implorazione di papa Montini ai giornalisti
cattolici, ai quali chiedeva di impegnarsi a «dare sempre parole, siano severe,
siano facili, siano amichevoli, siano divertenti, siano solenni e profonde, che
fanno del bene a chi le accetta». A 50 anni dalla sua fondazione, Avvenire ha
risposto con successo a quelle che erano le speranze e le attese del Papa che
ne è stato fondatore, ispiratore e, sempre, paternamente protettore.
Nell'articolata
vicenda che ha condotto alla nascita di Avvenire sono
evidentemente rintracciabili i due prioritari intenti che ispirarono il
pensiero e mossero la vita e tutta la lineare e coerente azione pastorale di
Giovanni Battista Montini prima e di Paolo VI dopo: il perseguimento della
maggiore unità possibile all’interno della Chiesa e tra questa ed i suoi fedeli;
e, confortato da tale unità, il necessario, indifferibile, dialogo della Chiesa
con la società moderna, per far conoscere al mondo le ragioni profonde della
fede in Cristo.
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