A undici anni dalla tragedia lo scheletro della Thyssen Krupp di Torino sta lì,
inanimato. La sua vita, ma soprattutto quella di sette suoi lavoratori, è
finita dopo l'incidente del dicembre 2007.
Il tempo si è fermato poco dopo l'una della
notte tra il 5 ed il 6 dicembre 2007, quando sulla linea di
produzione numero 5 un getto di olio bollente
investì gli operai del turno di notte, generando un incendio devastante. I
lavoratori coinvolti erano sette: quando alle 01,15 arrivano il 118 e i Vigili
del Fuoco la scena è agghiacciante. Il primo a morire in ospedale, alle 4 del
mattino, è Antonio Schiavone. Gli altri 6 moriranno dal
giorno successivo alla fine dell'anno. Si chiamavano Angelo
Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Rocco Marzo e Giuseppe
Demasi.
Il bilancio era drammatico. E l'atteggiamento
iniziale del colosso tedesco dell'acciaio, che aveva rilevato gli
stabilimenti Terni di Torino nel 1994,
lo fu ancora di più: agli inquirenti, l'azienda indicò come responsabili le
vittime stesse della tragedia, in quanto non avrebbero rispettato le
procedure e le norme di sicurezza.
La realtà si dimostrò completamente diversa quando
uno degli operai coinvolti nell'incidente del 2007, il sindacalista UILM Antonio
Boccuzzi, raccontò come erano realmente andate le cose in quella
tragica notte: si scoprì che la linea n.5 era stata già funestata più volte da
incidenti di varia entità, che al momento della tragedia gli equipaggiamenti di
norma non erano efficienti e infine che la Thyssen non aveva
formato né garantito il personale addetto alla sicurezza.
Il processo fu istruito davanti al Pm Guariniello e
durante le prime fasi la Thyssen cambiò versione, cominciando a parlare di
"sfavorevoli circostanze" che avrebbero causato la tragedia.
Fu il sequestro da parte della Guardia di
Finanza di alcuni documenti riservati in mano all'amministratore
delegato Harald Espenhahn a generare sconcerto e
rabbia: nelle parole del manager tedesco si esprimeva la necessità dell'azienda
di "mettere a tacere" la testimonianza di Boccuzzi e di
cercare l'appoggio della politica per eludere la responsabilità dell'azienda.
Gli inquirenti rispondono con un rapido rinvio a giudizio degli indagati con
capi di imputazione gravissimi: omicidio volontario plurimo, incendio
doloso per i vertici aziendali e omicidio colposo e dolo eventuale per
gli altri imputati. Il processo durerà dal 2009 al 2011,
quando la Corte di Assise di Torino emette
le sentenze per Espenhahn e Cosimo
Cafueri, responsabile della sicurezza dello stabilimento oltre ad
altri responsabili dello stabilimento torinese. La pena per l'amministratore
delegato è di 16 anni di reclusione, di 13
anni e 6 mesi per tutti gli altri.
Si tornerà in aula due anni dopo, quando nel 2013
la Corte d'Appello emetterà una sentenza-choc per
i parenti delle vittime e per buona parte dell'opinione pubblica: non essendo
riconosciuta la volontarietà ma soltanto l'omicidio colposo,
le pene vengono ridotte quasi alla metà rispetto al primo grado.
Rimarranno tali anche per la Cassazione, che il 13
maggio 2016 confermerà le pene dell'Appello: 9 anni
e 8 mesi ad Espenhahn, pene tra i 7 anni e sei mesi ai 6 anni e 3 mesi per
tutti gli altri responsabili di quanto accadde quella terribile
notte di 10 anni fa.
Attualmente Espenhanh e il
direttore di stabilimento Gerard Priegnitz si
trovano in Germania a piede libero: L'Italia sta
facendo pressioni perché i due ex responsabili dello stabilimento torinese
scontino la pena in carcere.
Gli altri dirigenti di nazionalità italiana condannati
per il rogo hanno già scontato due anni in reclusione.
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