Il genocidio di Srebrenica 24 anni dopo: la “guarigione” è ancora lontana
L’11
luglio 1995 l’esercito serbo-bosniaco massacrò più di 8mila musulmani inermi
dopo la conquista della cittadina, che doveva essere sotto la protezione dei
caschi blu dell’Onu. Il Gran Muftì onorario di Bosnia, Cerić: “I serbo-bosniaci
negano ancora i fatti e considerano i colpevoli, condannati dalla giustizia
internazionale, come 'trofei'. Sono orgoglioso che da parte nostra non ci sia
stata nessuna vendetta”
Alessandro Di Bussolo – Città del
Vaticano
I resti di Osman Cvrk, che l’11 luglio
1995 aveva 16 anni, ritrovati in più fosse comuni, vengono tumulati oggi in una
piccola bara di legno verde nel memoriale del genocidio di Srebrenica, a
Potocari, durante la celebrazione del 24 esimo anniversario, insieme a quelli
di altri 32 musulmani bosniaci uccisi nel peggior massacro avvenuto in Europa
dalla fine della Seconda guerra mondiale. Si aggiungono alle 6.610 vittime
sepolte dal 2003 al 2018, ma sono 8.372, secondo le autorità internazionali, le
persone uccise, in gran parte con un colpo alla testa, tra l’11 e il 16 luglio
nella zona di Srebrenica dalle milizie dell’armata serbo-bosniaca guidate dal
generale Ratko Mladić, condannato in primo grado all’ergastolo per genocidio e
crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale dell’Aja nel
novembre 2017.
Dopo tre anni di assedio, in città
c'erano 40 mila persone
Ventiquattro
anni fa le truppe di Mladić entrarono nella cittadina
di Srebrenica, sotto assedio da tre anni, decretata nel maggio 1993 “area
protetta” dal Consiglio di sicurezza dell'Onu e posta sotto protezione dei
Caschi blu, dove si erano rifugiati migliaia di bosniaci musulmani fuggiti dai
villaggi della zona. In tutto c’erano 40mila persone, perché Srebrenica era il
centro musulmano più grande in una zona a maggioranza serba. In serata già 25
mila si erano diretti a Potocari, cercando rifugio nella base dei caschi blu
olandesi, ma già, di nascosto, gli uomini di Mladic avevano cominciato a
radunare e uccidere tutti i maschi tra i 15 e i 65 anni, dividendoli da donne,
bambini e anziani.
Donne
e bambini deportati, uomini e ragazzi trucidati
In oltre 23 mila vennero deportati con
dei pullman e camion verso Tuzla entro la sera del 13 luglio. Quello stesso
giorno i caschi blu olandesi costrinsero i rifugiati a lasciare la base. Fra il
12 e il 23 luglio una parte degli uomini e ragazzi che si erano avviati verso
Tuzla attraverso i boschi, in quella che poi fu chiamata “la marcia della
morte” vennero uccisi in imboscate, decimati dai bombardamenti, si arresero e
furono fatti prigionieri. Le prime esecuzioni di massa cominciarono nel
pomeriggio del 13 con la fucilazione di 150 musulmani a Cerska, e si conclusero
il 16 luglio, quando cominciarono gli scavi delle fosse comuni. Un mese e mezzo
dopo, militari e poliziotti serbo-bosniaci, per occultare le prove del
massacro, riesumarono e riseppellirono i corpi delle vittime in altre localita'
della zona.
Le
fosse comuni ritrovate grazie ai superstiti
Fosse comuni di cui si è potuta trovare
traccia attraverso testimonianze dei superstiti e documenti raccolti lungo le
decine di processi per crimini di guerra che si sono succeduti, al Tribunale
penale internazionale dell’Aja come, in seguito, nelle decine svoltesi presso
le Corti speciali della regione. Per il genocidio di Srebrenica sono state
finora incriminate per crimini di guerra 70 persone: 20 dal Tribunale dell'Aja
e 50 dal tribunale di Sarajevo. Tredici imputati, tra cui tre comandanti
militari serbi e il capo politico dei serbo-bosniaci, Radovan Karadzic, sono
stati condannati all'ergastolo.
Un
genocidio, per distruggere in zona l'etnia bosgnacca
Già nel 2007, la Corte internazionale di
giustizia ha stabilito che il massacro, essendo stato commesso con lo specifico
intento di distruggere il gruppo etnico dei bosgnacchi (i musulmani bosniaci),
costituisce un "genocidio". Il 27 giugno 2017 la Corte d'Appello
dell'Aja ha confermato il verdetto di primo grado, cioè che il governo olandese
è parzialmente responsabile della morte di 300 musulmani, perché i soldati
olandesi costrinsero i rifugiati che cercavano riparo nella loro base a
lasciarla, consegnandoli di fatto ai carnefici, “privandoli della possibilità
di sopravvivere”.
Le
scuse del parlamento di Belgrado e del presidente serbo
Il 31 marzo 2010 il parlamento della
Serbia, che con l’allora presidente Milosevic sosteneva e finanziava l’esercito
serbo-bosniaco, ha approvato, dopo quasi 13 ore di discussione, una risoluzione
in cui condanna il massacro, senza definirlo genocidio, e chiede scusa per le
vittime. Il 25 aprile 2013 il presidente serbo Tomislav Nikolic, durante
un'intervista alla tv bosniaca Bhrt, si è inginocchiato chiedendo perdono per
il massacro di Srebrenica.
Vittime
civili anche nei villaggi serbi
Durante la guerra le truppe bosgnacche,
guidate da Naser Orić, furono protagoniste di alcuni raid nei villaggi abitati
da serbi intorno a Srebrenica. Il Centro per la ricerca e documentazione di
Sarajevo, centro studi indipendente con staff di diverse etnie, ha calcolato,
nel comune di Bratunac, 119 vittime civili serbo-bosniache e 424 soldati.
Mustafa
Cerić, Gran Muftì nei giorni del massacro
Del genocidio di Srebrenica e del
difficile cammino di riconciliazione, nella giustizia, in Bosnia ed Erzegovina,
parla a Vatican News Mustafa Cerić, Gran Muftì onorario
di Bosnia, guida religiosa dei musulmani bosniaci dal 1993 al 2012, che ha
presieduto in questa veste ben dieci cerimonie commemorative nel Memoriale e
cimitero di Potocari.
R. - La riconciliazione è basata su tre
cose fondamentali: verità, giustizia e confessione. Perché le vittime del
genocidio possano perdonare i responsabili del genocidio, essi devono venire e
dire: ho fatto un errore, mi dispiace, chiedo perdono e mi impegno a non
ripeterlo mai più in futuro. In Bosnia Erzegovina, riguardo al genocidio in
Srebrenica, non c’è stata “guarigione”. Anzi, c’è negazione del male, negazione
del peccato e coloro che hanno commesso questo peccato del genocidio e che sono
stati sanzionati dalla giustizia internazionale, sono come "trofei",
per quelli che cercano di coprire i loro crimini. Nel Corano c’è una frase: “se
tu perdoni Dio perdonerà i tuoi peccati d’ora in poi”. Quando spiego alle madri
questa piccola frase nel Corano questo è come un analgesico per loro anime. La
fede è l’unico analgesico per l’anima e lo spirito. Perciò sono molto fiero
delle persone in Bosnia Erzegovina, di come hanno superato questa sindrome
post-genocidio ed è interessante quando le vittime chiedono riconciliazione con
più forza di chi ha commesso il crimine di genocidio… E soprattutto sono molto
fiero che finora non c’è stata nessuna singola vendetta legata al genocidio in
Bosnia Erzegovina. Possiamo essere orgogliosi di lavorare duro per non essere
in azioni di vendetta che danneggerebbero la nostra credibilità morale.
Lei ha avuto colloqui con molti leader
dei Paesi islamici a proposito dei sospetti finanziamenti al sedicente Stato
Islamico, per chiedere che non vi sia alcun appoggio. Ritiene di aver avuto
successo?
R. – Per quanto riguarda quello che sta
succedendo adesso nella nostra comunità musulmana, anche nei rapporti con le
altre fedi, abbiamo molto lavoro da fare. La pace tra i musulmani nel Medio
Oriente è molto importante per la pace nel resto del mondo e questa è la
ragione per cui principe di Giordania Ghazi Bin Muhammad Bin Talal ha promosso
nel 2014 un forum per la promozione della pace e la comprensione tra le
comunità musulmane nel mondo. Il dialogo tra musulmani al momento è molto
importante. Abbiamo avuto successo? Penso che la situazione non sia ancora come
la vorremmo.
Lei è stato tra i primi a parlare
dell’esistenza di un’interpretazione europea dell’Islam e di un modello
islamico bosniaco. Può spiegarci i punti principali delle sue tesi?
R. – Cristiani e musulmani credono che
Dio ci ha creato. Io sono stato creato da Dio dall’argilla della Bosnia, che è
in Europa. Ho la mia fede ma sono bosniaco prima di diventare “formalmente”
musulmano. Sono musulmano per fede e sono europeo per il contesto della civiltà
in cui vivo. Questo concetto di civiltà nel quale vivo in Europa è nato dalla
tradizione cristiana, giudaica e islamica, e da varie filosofie umanistiche che
abbiamo visto negli ultimi secoli. Quindi appartengo a tutto questo, la mia
identità è multipla. Apparteniamo all’Europa, questa è la nostra terra
condivisa, i nostri valori condivisi, siamo nati qui, ma la religione che
abbiamo adottato è una scelta personale. Ho lo stesso diritto di professare la
mia fede islamica come ogni europeo ha il diritto di professare la sua fede
cristiana, ma come musulmano mi rendo conto che la maggior parte del continente
- 500 milioni di persone - sono cristiani e in questo ambiente devo capire che
l’Europa non è la casa dell’islam. Ma non è nemmeno la casa della guerra!
L’Europa è la casa del contratto sociale, della tolleranza politica, della
comprensione e della tolleranza religiosa. Questo finché l’Europa manterrà i
due principi che sono il motivo grazie al quale l’Europa vive in pace oggi e
nel futuro, spero. Sono i principi della democrazia e del rispetto dei diritti
umani. Per questo sono europeo, la mia esperienza dell’islam e un’esperienza
europea ed è diversa da altri musulmani nel mondo. Posso dire con molta
sicurezza e orgoglio che ho più privilegi in Europa come musulmano rispetto a
molti altri miei fratelli in alcuni Paesi a maggioranza musulmana. Perché?
Lascio giudicare alla storia. Ma non dimentico che alla fine dell’ultimo secolo
ho avuto l'esperienza del genocidio, perché a volte ci troviamo davanti a
persone “folli”, “stolte” che non apprezzano quello che significa l’Europa. La
chiave per la sicurezza e la pace in Europa è l’idea della riconciliazione, che
non è qualcosa che incomincia e finisce. La riconciliazione è il processo della
vita, è come l’aria che respiri, come l’acqua che bevi, come il pane che mangi
ogni giorno.
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