Alla prossima vittoria del nostro
sportivo del cuore, oltre che lui (o lei) faremmo bene ad applaudire gli altri
40 mila miliardi di microbi che abitano il suo corpo, soprattutto quelli
intestinali. I batteri che oggi attirano l’attenzione degli scienziati per la
capacità di influenzare la salute e le prestazioni. Una delle ricerche più
importanti in questo senso è l’Athlete Microbiome Project, lanciato dalla
genetista americana Lauren Peterson, che raccoglie campioni fecali e salivali
di ciclisti professionisti per scoprire le differenze tra il loro microbioma e
quello dell’americano medio. A Peterson l’idea è venuta nel2012, quando,
indagando sulla sua continua spossate<<a , si accorse che il suo
microbioma intestinale era stato sconvolto da una cura di antibiotici: le
mancavano molti dei batteri più benefici. Trapiantò nel suo intestino i batteri
di un ciclista ben allenato e già due mesi dopo si sentì molto meglio: il
microbioma si era risanato. A oggi Peterson ha trovato nei microbiomi dei
ciclisti una grande biodiversità, un’abbondanza di batteri del genere
Prevotella, rari nei non atleti, e un’alta concentrazione di Methanobrevibocter archaea,
batterio-spazzino che consuma gli scarti della fermentazione degli altri
batteri e aiuta il microbioma a funzionare meglio. Studi recenti su rughisti
irlandesi hanno mostrato invece che anche illoro microbioma è più vario
rispetto a quello dei sedentari e contiene più batteri del genere Akkermansia,
capaci di ridurre l’assorbimento del cibo e quindi di prevenire l’obesità. Un
domani un trapianto potrà renderci tutti più prestanti? Un domani un trapianto
potrà renderci tutti più prestanti? Forse no, ma oggi un numero crescente di
scienziati osserva il microbioma per trovare nuove cure. Lo hanno fatto, per
esempio, ricercatori dell’Ospedale San Raffaele di Milano con uno studio appena
pubblicato su Science Advances.
Questo mostra come in chi soffre di sclerosi multipla recidivante-remittente,
nella fase che precede la riattivazione della malattia, la flora batterica intestinale
si alteri in contemporanea con la proliferazione di un tipo di globuli bianchi
cruciali per lo sviluppo della patologia. Che forse un giorno si potrà
rallentare o fermare proprio intervenendo in tempo sul microbioma. Sempre
questo è indicato poi come un nuovo possibile bersaglio per la prevenzione e la
cura del cancro epatico: uno studio della Columbia University uscito a luglio
evidenzia il ruolo dei microbi intestinali nei danni al fegato che precedono il
tumore. Infine, un’altra grave malattia che ora si collega alla flora
dell’intestino è il morbo di Parkinson: uno studio pubblicato su Genome Medicine da Ulrich Wulner, medico
e docente dell’Università di Bonn, mostra i cambiamenti nei microbi intestinali
nelle fasi iniziali della malattia. Il loro effetto è ridurre la produzione di
acidi grassi e rendere più permeabile la mucosa intestinale, favorendo una
infiammazione che sembra andare di pari passo con la neurodegenerazione.
Giuliano Aluffi – Scienze – Il Venerdì di La Repubblica - 28 luglio 2017 -
Nessun commento:
Posta un commento