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giovedì 10 agosto 2017

Lo Sapevate Che: Noi che viviamo in attesa di una fuga...



Se a ognuno di noi fosse concesso il superpotere di correggere la propria vita, aggiungendo i pezzi rotti e raddrizzando le storture, cosa cambieremmo? Escluderei dal gioco le ambizioni irrealistiche – una memoria portentosa, un metabolismo efficientissimo, ventre piatto e pelle di porcellana – e terrei valide le riparazioni dell’esistente, i rimedi ai danni e ai pasticci provocati da noi e dalle nostre scelte dissennate o sfortunate. Quali tasselli toglierei al mio puzzle? Me lo domando spesso. E spesso, con una certa incredula sorpresa, mi rispondo che, in fondo, va bene così: non cambierei marito, nonostante la sua baresità, il suo marxismo e le sue mille follie, rifarei tre figli, anche conoscendo in anticipo la mia condanna al binomio XY, accetterei gli stessi lavori, seppur precari, seppur con la sveglia alle 4,20 del mattino, seppur con l’inquietudine che come un tarlo mi consuma. Questo significa che sono in equilibrio? Non direi proprio. Che sono felice? Forse. Che vorrei essere dove sono? No. O meglio solo d’estate. Già. Perché io passo l’anno ad aspettare. E mentre aspetto stringo i denti e corro come il Bianconiglio, in cronico ritardo, e mi sento inadeguata e gioisco e mi esaspero e mi entusiasmo e mi deprimo. E spesso mi mantengo a galla grazie alla luce in fondo a quel tunnel. Io trascuro parte del mio tempo aspettando le vacanze estive, quell’oasi di evasione e libertà, quel terreno sonnacchioso e sfrenato, quell’irrinunciabile fazzoletto di anarchia. C’è stato un periodo in cui, figlia di genitori divorziati, la mia estate era divisa in due e avevo sempre l’impressione di essere con il genitore sbagliato, nel luogo sbagliato, preda di languori inopportuni. C’è stato il tempo dissoluto e dissennato in cui le vacanze servivano a innamorarsi e struggersi e dirsi addio e innamorarsi di nuovo. Ci sono state varie estati prima dei figli, al fianco dell’economista marxista barese ragazzino che mi trascinava a Cuba e in Nicaragua a cercare la rivoluzione, in Siria a scoprire un mondo ancora in pace, in Puglia a trovare le origini, i Sicilia a scovare la bellezza. Anche in quegli anni più lievi vivevamo nell’attesa della nostra fuga. Il qui e ora ci appassionava, ma non abbastanza da distoglierci dal sogno di quelle settimane altrove, in mondi paralleli e possibili. Oggi siamo diversi da allora. Oggi la libertà non è fuggire arbitrio. Anche oggi ci struggiamo nell’attesa e. quando il momento arriva, tocchiamo la forma più perfetta e completa di felicità.Da nove anni la nostra felicità e, agli occhi dei più un’assoluta e insensata stramberia. Anche quest’estate abbiamo attraversato l’Atlantico per installarci in una cittadina strampalata e fricchettona, impermeabile al nuovo corso feroce di Trump, dove il genere è fluido, gli scoiattoli impazzano, la vicina di casa bussa alla tua porta per mostrarti lo spettacolare e immondo bacherozzolo blu e giallo trovato sulle scale e il caffè è imbevibile. Ogni volta ci domandiamo: “Ha senso tornare lì, dove ogni angolo e ogni follia sono noti? Dove si è nascosto l’Ulisse che, seppur in dosi omeopatiche, albergava in noi e voleva seguir virtute e conoscenza?”. E ora che sono qui, scalza, struccata e selvaggia, i miei figli rincorrono serpenti in un campo estivo naturalista e mio marito nuota in uno stagno melmoso sostenendo che l’acqua gelida tempra il corpo e lo spirito, penso che ognuno ha il suo migliore dei mondi possibili, il suo fato, il suo approdo, la vacanza che si merita.

Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 5 agosto – 2017

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