Per Arrivare A
Ventimiglia prendo
un treno locale da Genova, di quelli che fanno tutte le fermate. Mentre sto
leggendo, all’improvviso scoppia un parapiglia. Nel corridoio del treno vedo
sfrecciare di corsa un ragazzo nero. A pochi metri di distanza lo insegue una
donna controllore che urla: “Devi scendere! Scendi subito! Guarda che non mi
sfuggi!”. Dopo un po' la funzionaria di Trenitalia rinuncia, arrivata in fondo
al vagone si ferma. Si gira, torna indietro ansimando. Per rincuorarla le
faccio i complimenti per lo scatto, la butto sul ridere. Non è una ragazzina,
ci vuole fiato per correre così. Ci vuole anche coraggio. Ogni tanto leggo
notizie di aggressioni violente, capitreno e controllori malmenati o accoltellati.
Non sempre, ma spesso da immigrati che viaggiano senza biglietto. Che sia un
andazzo frequente posso testimoniarlo, pur abitando un treno locale, come oggi,
mi capita di assistere a scene simili, L’abitudine di viaggiare senza biglietto
è diffusa tra gli immigrati. Ci sono pure italiani che fanno lo stesso, però
tra gli stranieri sembra un’abitudine di massa. I poveri controllori sono
costretti a trasformarsi in poliziotti, pur disarmati. Combattono una piccola
guerra quotidiana, forse inutile, per istillare un senso di legalità, di
rispetto delle regole. Li ammiro perché non ci guadagnano proprio nulla, non ne
ricavano un tornaconto personale, corrono dei rischi per fare il proprio
dovere. La donna controllore sul treno per Ventimiglia ha il senso dell’ironia
e ha voglia di sdrammatizzare: “Finché le gambe mi reggono continuo. Ma ormai
mancano solo due mesi alla pensione, e allora chi s’è visto s’è visto…” La
scena del treno fa da preludio alla mia visita ai profughi di Ventimiglia.
Questa è l’ultima città della Liguria prima del confine con la Francia. Un
tempo, prima dell’emergenza profughi, quando l’Europa rispettava gli accordi di
Schengen, il confine di Ventimiglia era diventato virtuale, lo si passava senza
controlli. Poi la Francia lo ha chiuso per bloccare l’afflusso indesiderato.
Adesso i profughi che fanno il viaggio della speranza, vengono dall’Africa e
raggiungono la costa libica, poi attraversano il Mediterraneo e sbarcano in
Italia (se sopravvivono), raramente vogliono rimanere nel nostro Paese. Le mète
più ambite sono a Nord: Germania, Scandinavia, Inghilterra. Alcuni vogliono
andare in Francia perché vengono dall’Africa francofona e pensano che un futuro
migliore li aspetti lì; magari hanno parenti o amici dai quali farsi aiutare.
Oppure la Francia stessa è terra di transito, per raggiungere Calais e tentare
il passaggio in Gran Bretagna. Adesso vanno a cozzare contro la barriera di
Ventimiglia, la polizia francese li respinge. E’ una nuova linea rossa: vietato
oltrepassarla. È una frontiera invisibile dal significato inquietante per molti
italiani. È come se i veri confini dell’Africa si fossero spostati qui.
L’Italia risucchiata nel suo “destino mediterraneo”. La Francia che non ci
tratta più come Europa, ma come Sud dal quale arrivano gli indesiderati, il
pericolo. Quest’immagine del confine africano che si è trasferito a
Ventimiglia, la ritrovo lungo il fiumiciattolo Roja. È uno di quei corsi
d’acqua tipici della Liguria, che dalle montagne scoscese piombano verso il
mare: rigagnoli semiasciutti d’estate, torrenti impetuosi gonfiati dai primi
nubifragi autunnali. Sul greto del Roja, tra banchi di sabbia e cespugli di
sterpi, vedo centinaia di neri. Sono i profughi dall’Africa che campeggiano
all’aperto, nell’attesa di tentare la traversata del confine nelle zone meno
custodite, affidandosi ai “passeur” a pagamento. Di nuovo quell’immagine di una
invisibile linea rossa: è come se la Francia avesse deciso che la vera
frontiera dell’Africa è risalita fin qui, e in questo punto deve fermarsi, guai
a lasciarla avanzare ancora.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 5
agosto 2017 -
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