La Mano Fresca della mamma sulla fronte arroventata
dalla febbre, la spremuta d’arancia, la tazza tiepida di brodino di pollo,
erano tutta la forma di assicurazione sanitaria che noi bambini di altre
generazioni avevamo. Non c’era malattia che quella mano ferma e insistente non
potesse guarire o almeno lenire, non c’era diagnosi più certa del suo permesso
di alzarsi finalmente dal letto dopo la caduta della febbre e, trascorso un
ragionevole periodo di convalescenza, di uscire. La mamma, dunque la donna, era
il sole attorno al quale ruotava tutto il sistema planetario della salute
familiare. Il tempo, l’evolversi della medicina, la sofisticazione delle
tecniche diagnostiche e dei protocolli di cura avrebbero sicuramente spazzato
va quella elementare, affettuosa responsabilità femminile. E invece no. Nessun
progresso tecnologico ha sottratto alle femmine della nostra specie il ruolo di
sciamane, di sacerdote della salute. Da loro dipende l’ottanta per cento di
tutte le decisioni in materia di salute prese negli Stati Uniti, e sospetto che
la stessa schiacciante percentuale sia altrettanto vera, se non addirittura
inferiore, a quella che si registra in altre nazioni. Le compagnie di
assicurazione, che tengono accurate tabelle statistiche di polizze e rimborsi,
come gli ospedali, sanno che le donne controllano te quarti dei 3,200 miliardi
di dollari spesi ogni anno per la salute: più del Pil italiano. Vedono che le
sale d’attesa degli studi medici, come degli ospedali, sono sempre più
affollate di femmine che di maschi, di donne che li frequentano per sé, per i
figli, per i loro vecchi, per i loro spesso recalcitranti e tremebondi
compagni. La familiarità con il mondo della medicina è una costante a vita per
le donne, dai primi problemi della pubertà a quelli della maternità, dei figli,
della menopausa, della vecchiaia, propria o altrui. Come costante è a crescita
delle donne medico, ormai quattro su dieci negli Stati americani più
urbanizzati come New York o la California, e totale il dominio delle
infermiere, il 90 per cento del personale. E se una paziente sarà insoddisfatta
del trattamento ricevuto, allora tutto l’universo che ruota attorno a lei
diserterà quell’istituto o quel medico. È una realtà che spiega il fallimento
del nuovo governo Trump e del Parlamento americano nel tentativo di ribaltare
il carretto dell’assicurazione medica ereditato dal predecessore, Obama. Al
momento di scrivere una nuova legge, buona o cattiva che fosse, il partito
Repubblicano che ha la maggioranza dei seggi si è affidato a una commissione di
senatori formata da tredici cosiddetti esperti. Tutti maschi. Un record
storico. Nessuna donna, nessuna senatrice – pur essendo ventuno su cento – era
stata ammessa in questo cenacolo di maschi, ai quali era stato chiesto di
rivoluzionare un mondo della medicina che le donne controllano. Sono bastate
tre senatrici Repubblicane, dunque dello stesso partito di Donald Trump,
Shelley Capito della West Virginia, Susan Collins del Maine e Lisa Murkowsky dell’Alaska,
per bloccare i piani dei colleghi maschi. No women, no law”, ha detto Lisa
dell’Alaska riecheggiando un famoso verso del reggae di Bob Marley: niente
donne, niente legge. È stata la piccola rivincita di quell’universo femminile
americano sconfitto con Hillary Clinton, per la quale le tre senatrici ribelli
non hanno alcuna simpatia, ma soltanto pratica solidarietà di donne con
problemi di donne davanti alla salute e alla medicina. E una bella lezione per
il maschilismo della presidenza americana. La mano fredda della mamma si è
posata sulla fronte febbricitante del Presidente e ha sentenziato che no,
ancora non stai bene, Donaldino. Devi restare a letto. E senza brodino.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica -5
Agosto 2017 -
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