“Bonjour Monsieur, bonjour Madame, ça
va? Bienvenue à bord”. Oppure. “Welcome on board my friend , how are you?” I
salvati, zuppi e scalzi, strabuzzano occhi e orecchie. Incedono incerti,
stringono mani, sorridono timidamente. Nelle loro teste è ammassata troppa roba
per garantire lucidità, troppa vita vissuta con il rischio di non viverla più
da un momento all’altro per potersi abbandonare a chi, senza nemmeno
conoscerti, dopo giorni, mesi o anni di violenze, torture e prigioni, ti chiama
Monsieur o Madame, sorridendo mentre ti stringe la mano. Ma se qualche ora fa
eri su un gommone alla deriva e ora i tuoi piedi sono saldi sul di una nave, a
lasciarti andare ci metti poco. Una donna, col braccio malamente fasciato,
piange perché non trova più marito che era partito con lei. Il personale di
bordo offre umanità, calore e rispetto a chi sale a bordo dell’Aquarius (Sos
Méditerranée, Ong in partnership con Medici Senza Frontiere. Il mare intorno a
noi, quello al largo della Libia, dopo dieci giorni di impraticabilità, è
finalmente calmo e i trafficanti di uomini, donne e bambini possono spingere
tra le onde i mezzi di fortuna. Ad attendere tutte queste persone c’è il
destino, tanto cupo e minaccioso quanto sorprendente nel momento in cui la
volontà, umana e politica, decide di preparare uomini e salvagenti in misura
sufficiente a influenzare gli sviluppi. Oggi, domenica il destino ha voluto che
418 persone si salvassero grazie alla Guardia Costiera e auna Ong spagnola
(Open Arms). Da Roma, nonostante un dei punti più discussi del codice di
condotta in via di definizione voglia vietare i trasferimenti di migranti da
una Ong all’altra, è comunque arrivato l’ordine di imbarcare queste persone
sull’Aquarius. Ci vorrà poco più di una giornata per rientrare in Italia. Il
tempo di mangiare, crollare nel sonno ovunque ci sia spazio, fare test di
gravidanza, farsi fasciare le ferite da arma da fuoco, misurare a febbre,
rilasciare interviste o negarle per paura di ripercussioni, mimare il gesto del
fucile o della pistola, ricordare persone giustiziate senza ragione, mangiare
di nuovo, riprendere forze, morale e infine il sorriso, suonando due tamburi
sgangherati davanti alle prime luci di Pozzallo. L’Italia, quando si sbarca,
diventa polizia, foto segnaletiche, mascherine, tute protettive, pullman,
hotspot e destino incerto, comunque migliore di quello toccato alle 13 persone
trovate morte su un gommone il giorno dopo, più o meno dove eravamo noi.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di La
Repubblica – 4 agosto 2017 -
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