Sono Un Pittore in fieri di 24 anni. Terminati gli studi all’Accademia sto ora aiutando i
miei genitori, che per tutta la giovinezza hanno rappresentato un inossidabile
modello di sicurezza, in una piccola società a conduzione familiare che più
volte ha sfiorato il fallimento. Il mio futuro ora dipende dai miei soli sforzi
e dal vero tesoro che mi hanno lasciato: l’educazione, che mi sta permettendo
di sopravvivere a questa situazione scomoda. Del resto il vero cambiamento è
quando possiamo mettere in atto noi nella nostra vita, senza scomodare grandi
principi metafisici. Ogni giorno, siamo in grado di giocarci una serie di
scelte che hanno un peso, che si muovono nello spazio e riecheggiano nel tempo
a nostra disposizione, influenzandolo. Posso essere artista anche se di fatto
non pratico la mia arte, solo guardando le cose da prospettive molteplici,
indagandone ed eventualmente cambiandone il significato. La libertà credo sia
questo: una persona consapevole sa di essere libera, anche se, nei fatti, è
imprigionata, Lo sguardo ul mondo libera, perché lo sguardo sulle cose precede
le cose stesse. Vedo attorno a me molti coetanei che provano timore per ciò che
non conoscono e per la realtà, ai loro occhi immutabile. Ne sono vittime.
Vorrei prendere la mano di queste persone, per fare un passo indietro assieme e
capire che cosa sarebbe meglio fare, per migliorare e placarci l’un l’altro,
come io ho fatto coi miei genitori. Un passo indietro, senza magari la pretesa
di dover riprendere a camminare in avanti.
Ludovico Riviera Ludo.riviera@g.mail.com
Pubblico La Sua Lettera perché
contiene una buona indicazione per i giovani che, non avendo per mille ragioni
la possibilità di realizzare se stessi, oppure nell’alcool o nella droga che li
anestetizzano, per evitare di assaporare ogni giorno la propria insignificanza
sociale. E tutto questo perché il futuro non appare più a loro come una
promessa, ma come uno scenario vuoto che non retroagisce come motivazione. E se
nulla mi attende, perché devo darmi da fare? I suoi studi all’Accademia hanno creato
le condizioni per realizzare il suo demone che è la pittura. E chi realizza il
suo demone, ce lo ricorda Aristotele, raggiunge l’en-daimonia che in greco significa “felicità”. Le condizioni
economiche della sua famiglia non le hanno spento il sogno, ma l’anno reso al
momento impraticabile, e lei, invece di rassegnarsi o di ribellarsi, di
avviarsi su sentieri che conducono a una vita ai margini della società, come
non di rado capita agli artisti, ha guardato in faccia la realtà. Sostenuto da
un sentimento di affetto e riconoscenza verso i suoi genitori, quando li ha
visti deboli ha deciso di aiutarli, non senza un notevole sacrificio da parte
sua, e con l’unica ricompensa che lei giudica “più che sufficiente per non
intaccare il rispetto e l’amore per loro”. Con questa decisione lei ha
raggiunto un tipo di felicità più eroica di quella indicata da Aristotele, che
la colloca nella compiuta realizzazione di sé, la felicità che lei ha
riconosciuto è quella indicata da Kant per la quale la virtù è in se stessa
felicità. Cambiando il paradigma della felicità, lei ha operato un cambiamento
radicale della sua vita che, “senza scomodare grandi principi metafisici, è in
grado di fare una serie di scelte che hanno un peso, che si muovono nello
spazio e riecheggeranno nel tempo a nostra disposizione, influenzandolo”.
Invece di consegnarsi all’inesorabilità di un tempo vuoto perché senza
speranze, lei assume le scelte che le condizioni date le mettono a disposizione
per “influenzare il tempo”. Non è più il tempo anonimo a disposizione di tutti,
non è il suo tempo, il tempo che lei ha deciso di costruire per sé, assaporando
in questa costruzione la sua libertà. La libertà, come lei dice, di “poter essere
artista anche se di fatto non pratico la mia arte”, perché ha imparato l’arte
della vita, dove a sorprenderci non sono mai le cose, ma il nostro modo di
guardarle ed eventualmente di cambiare il significato, per cui anche una
rinuncia, anche una prigione come può essere la sua (una volta accettata
consapevolmente l’occupazione lavorativa che non era propriamente il suo
demone) diventa un’espressione di libertà. Lei vede molti suoi coetanei privi
di autonomia, rifugiati in mondi immaginari e perciò fragili e manipolabili,
intimoriti per ciò che non conoscono e terrorizzati da una realtà che non offre
loro alcun accesso. Probabilmente non hanno avuto genitori come i suoi. Con
loro lei vorrebbe fare un passo indietro per invitarli a riconciliarsi con chi li
ha messi al mondo e, partendo da questa riconciliazione, trovare la condizione
per un po' di autonomia per un migliore rapporto con la realtà, anche la più
inospitale. Grazie per questa sua testimonianza.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 12 Agosto
2017 -
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