Mio Figlio Maggiore ha 14 anni una dedizione degna di
miglior causa alla sua tartaruga (addominale), una passione smodata per le
ragazzine, l’instabilità emotiva degli adolescenti e una tendenza all’approssimazione.
La scuola non ha mai esercitato un grande fascino su di lui se non per le
occasioni di socialità che strutturalmente offre. Lo studio è considerato
un’attività degradante e pericolosa, da praticare con moderazione; la lettura
un’imposizione materna, condizione necessaria per avere accesso allo
smartphone. “Voglio iscrivermi al liceo classico”, ha annunciato un giorno.
“Perché?” gli abbiamo domandato increduli. “Perché senza il greco non si può
vivere”. Gli ho raccontato dei miei pomeriggi china a declinare lingue morte,
del mio arrancare, del necessario amore per la conoscenza che passa anche per
un pervicace masochismo. “Ottimo”, ha replicato. Potevamo contrastare cotanta
determinazione, seppure apparentemente inconciliabile con ossessivo allevamento
di tartarughe e l’apparente disinteresse verso le lettere? Giammai. L’aver
impresso una direzione al proprio futuro non ha tuttavia turbato il virgulto,
che ha continuato a nutrire il suo vorace edonismo, indifferente
all’inappetenza della sua anima. Così abbiamo preso provvedimenti. “Forse è il
caso di cambiare campo estivo per le vacanze, nella città di A, in
Massachusetts”. “Perché? A me il campo naturalista con i bacherozzi piace”.
“Certo ma adesso devi fare qualcosa che sia adatto alla tua età. Ai tuoi
interessi, ehm, futuri…”. “Sto bene così”. “Guarda qui, sembra bellissimo!”.
“Lì??? Non ci vado nemmeno morto! Piuttosto mi offro come schiavo di Brenda, la
vicina di casa”. “Troppo tardi. Ti abbiamo già iscritto. Dura un mese e,
durante la settimana, dormirai lì”. “Dormirci mai”. Siamo arrivati nella città
di A una domenica sera, sfiniti dal jet, dal viaggio e dal broncio di un torvo
14enne. Il lunedì mattina, in formazione completa (“Mamma, così, tutti insieme
anche con quei due balordi dei miei fratelli sembriamo il gruppo folcloristico
lombardo-pugliese. Dobbiamo proprio stare tutti insieme?”), lo abbiamo
accompagnato al campo estivo Great Books,
grandi libri, dedicato agli adolescenti e, soprattutto, alla lettura di testi
classici moderni, contemporanei, di prosa, di poesia, istituzionali e ludici.
“Quante ragazze…”, ha commentato al cospetto di sciami di fanciulle (anche
negli Stati Uniti evidentemente la lettura è attività prevalentemente
femminile) che scendevano vocianti dal dormitorio. “Be’, se tutti dormono qui,
non posso mica essere l’unico scemo che torna a casa la sera, no?”.
“Veramente…”. “Dai, dai, dai posso restare qu sempre?”. Per quattro settimane
abbiamo perso le tracce di nostro figlio, fatta eccezione per una visita di 24 ore
scarse a casa per fare il bucato e ammettere, sotto ricatto (“Dillo! Dillo!
Altrimenti non esci di qui!”, “E va bene: è fichissimo”) che avevamo ragione
noi. Per la prima volta è uscito dal niso, io ho imparato, con un po' di
malinconia, a non averlo intorno, i fratelli hanno occupato ogni spazio. Lui,
degno figlio dell’economista marxista, ha insegnato l’Internazionale ai suoi
compagni americani, ha passato serate a cantare canzoni country accompagnate da
un banjo, ha dormito pochissimo, si è fidanzato (a suo dire), ha scoperto che
uno dei suoi migliori amici al campo è transgender ed è diventato paladino dei
diritti LGBT, si è divertito come un pazzo e, forse, ha scoperto che leggere è
un modo bellissimo per diventare grandi. Adesso bisogna solo convincerlo a
tornare a casa.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 12
Agosto 2017 -
Nessun commento:
Posta un commento