La Psicoanalisi Non segna la fine della filosofia, con il
tramonto delle metafisiche, per diventare un “Conosci te stesso” da cui era
partita la filosofia greca? Non assume, dunque, lo sesso compito della
psicoanalisi, un compito di natura “pratico” per capire cosa fare per cambiare
il mondo e se stessi? Giovanni
Lamagna lamagnagio@tiscali.it
Il Giorno In Cui la filosofia dovesse morire, gli uomini sarebbero ridotte a
macchine (comprese le macchine intelligenti che funzionano a partire dal modo
in cui sono state impostate. La filosofia infatti non è’ un sapere (per questo
Socrate riteneva che la sua condizione fosse caratterizzata dalla dotta ignoranza).
La filosofia è un atteggiamento che sottopone a critica le opinioni supinamente
diffuse, quelle che sono accolte a partire dall’autorità che le ha enunciate,
quelle che non si fstivoondano su argomentazioni o si basano su procedure
discorsive che fanno acqua da tutte le parti, quelle a cui ci si adatta perché
così va il mondo, e via discorrendo. Non identifichi quindi la filosofia con la
metafisica, che è portatrice di una visione del mondo che non ritiene esaustivo
e soddisfacente il senso che si reperisce in questo mondo. La visione
metafisica del mondo è tutt’altro che morta, ma anche se lo fosse, la sua morte
non decreterebbe la morte della filosofia. La psicanalisi ha un corredo
concettuale a forte impronta filosofica. Freud era un grande lettore di Platone
e di Schopenhauer, così come Jung lo era di Kant e di Nietzsche. Ma anche la
psichiatria dell’Ottocento, con Griesinger e Wernicke, ha costruito la sua
nosologia a partire dalla caratteriologia descritta da Kant nella sua Antropologia culturale. Nel Novecento
accanto al metodo esplicativo, rivolto non alla malattia ma a chi soffriva, per
merito di uno psichiatra e filosofo, Karl Jaspers, da cui prese avvio quella
psichiatria fenomenologica (..). Oggi assistiamo a un crescente interesse per le
neuroscienze, debitrici a loro volta dell’impostazione cartesiana che ha
ridotto il corpo a res extensa, quindi a puro organismo, dove rintracciare la
genesi delle malattie e i rimedi farmacologici. (..). La fine da lei paventata
della filosofia (che dal mio punto di vista equivarrebbe semplicemente alla
fine della pratica del pensiero) è da imputare in parte al fatto che, ad
eccezione dell’Italia, la filosofia è stata abolita falle scuole superiori in
tutti i Paesi europei, perché la mentalità utilitaristica che si va diffondendo
(l’utilitarismo stesso è una scuola filosofica, anche se gli attuali interpreti
non lo sanno) ha stabilito che la filosofia non è di alcuna immediata utilità.
(..) Noi occidentali ancora oggi pensiamo e parliamo come Platone e Aristotele
ci hanno insegnato a pensare e a parlare, secondo il principio di non
contraddizione e il principio di causalità. Sappiamo cos’è la politica e la
democrazia, perché Platone ce le ha descritte in contrapposizione alla
tirannide. Con Eschilo conosciamo il diritto come superamento della vendetta.
Cartesio ha ideato il metodo matematico che ha inaugurato la scienza moderna e,
riducendo anche se impropriamente il corpo a organismo, ha consentito la
nascita della medicina su base scientifica. Kant ha indicato i limiti della
ragione e una morale che si fonda sulla pura ragione senza interferenze
religiose. Hegel, tra le molte cose, ci ha insegnato l’eterogenesi dei fini,
quando un “mezzo”, come oggi il denaro o la tecnica, diventa a sua volta un
“fine”, perché assurge a condizione universale per realizzare qualsiasi scopo.
Nietzsche infine ha annunciato la morte di Dio, da cui prende le mosse l’età
del nichilismo che tuttora, anche se a nostra insaputa, continuiamo ad abitare.
Infine, come “pratica filosofica”, la filosofia, consente di rivisitare le
nostre idee comodamente accovacciate nella pigrizia del nostro pensiero, e
perciò causa di sofferenza, perché, per mancanza di discernimento critico, non
sono più idonee a capire il modo in cui viviamo e i suoi rapidi cambiamenti.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 29 luglio 2017 -
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