Il Fiumiciattolo Roja è uno di quei corsi d’acqua tipici
della Liguria, che dai monti piombano al mare: rigagnoli semiasciutti d’estate,
torrenti gonfiati dai primi nubifragi in autunno. Sul greto del Roja, tra i banchi
di sabbia e i cespugli di sterpi, vedo centinaia di neri. Sono i profughi
dall’Africa che campeggiano all’aperto, nell’attesa di tentare la traversata
del confine nelle zone meno custodite, affidandosi ai passeur. Versione
terrestre degli scafisti. Alcuni a pagamento, magari ex-contrabbandieri
riconvertiti al traffico di persone. Altri, volontari di Ong venuti dal Nord
Europa a sfidare la polizia francese. O qualche montanaro francese, anarchico e
libertario, che lo fa per una questione di principio, rischia la galera e non
vuole un centesimo. Incontro il più improbabile di questi eroi umanitari: è
venuto dalla Columbia dei narcos. Lui non si occupa di paesaggio della
frontiera, solo di accoglienza. Si chiama don Rito Alvarez, è sacerdote nella
chiesa di Sant’Antonio alle Gianchette , situata a pochi metri dal Roja. La
storia di come don Rito sia arrivato fin qui è surreale, con un tocco di humor
nero. Ha lasciato una regione che era terrorizzata da un capo narcos di origini
indiane. È approdato in un comune d’Italia dove le infiltrazioni mafiose sono
all’ordine del giorno (nel 2012 il governo italiano scioglieva il consiglio
comunale di Ventimiglia “per gravi ingerenze della criminalità organizzata”). In
fatto di criminalità don Rito è un esperto. La sua regione d’origine è il
Catatumbo, nel Nord-est della Columbia. Rifugio di guerriglieri, che un tempo
si dicevano marxisti, poi diventati un braccio armato del narco traffico. Don
Rito ricorda “tanti comoagni d’infanzia arruolati dai narcos, e tanti uccisi in
esecuzioni feroci, uno sbranato vivo dai cani”. Ricorda che prima del 1993 –
l’anno in cui lui si trasferì in Italia per studiare da sacerdote – il
Catatumbo era terrorizzato da gruppi paramilitari che avrebbero dovuto ripulire
il paese dalle forze ribelli, e che diventavano loro stessi protagonisti o
arbitri del narco-traffico, Un capo era Salvatore Mancuso, famiglia originaria
di Sapri, provincia di Napoli. Oggi quel Mancuso colombiano, 52enne, è in
carcere negli Stati Uniti, dopo che la Colombia ha accettato di estradarlo nel
2008. “Mancuso”, dice don Rito, fece uccidere diversi miei parenti. In tutto il
territorio del Catatumbo le milizie hanno fatto diecimila morti. La sua storia
la racconto per dire agli italiani che è fondamentale parlare dei terribili
danni della droga. Mi serve anche per contrastare la paura generalizzata degli
immigrati, la demonizzazione dello straniero. Se dovessi ragionare per
stereotipi io, che ho avuto una famiglia straziata da quel boss di origini
italiane, dovrei temere ogni italiano che incontro. Nell’estate del 2016 papa
Francesco esortava ad aprire le chiese ai profughi. La parrocchia di Sant’
Antonio alle Gianchette, nel giorno in cui la visito, ne ospita circa 170.
Soprattutto donne, bambini, ammalati. “In un anno ne sono transitati di qua
15mila”, mi dice don Rito, “e senza un centesimo di aiuti dallo Stato italiano.
Tutto volontariato gratuito”. Donazioni di alimenti, lavoro volontario da parte
di prof che insegnano l’italiano, do medici che garantiscono un servizio di
ambulatorio. Le difficoltà maggiori le ha con i suoi vicini italiani. Il
quartiere delle Gianchette è in rivolta contro i profughi, moltiplica proteste,
atti di ostilità. Don Rito, visti i suoi trascorsi in Colombia, non si fa
intimidire e descrive le cose in maniera semplice: “Questo è un quartiere
popolare, e mafioso. Era già infrequentabile 15 anni fa. L’accoglienza dei
profughi attira anche la polizia, che disturba la’ndrangheta”.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 12
Agosto 2017 -
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