Uno degli episodi più famosi della vita di Francesco d’Assisi è senz’altro il racconto del lupo di Gubbio, che il santo avrebbe ammansito e riconciliato con gli abitanti di quella città. Nei suoi scritti Francesco parla poco del lupo; rivela anzi una disposizione benevola nei suoi confronti: non ne ha paura, perché sa di non aver nulla da temere, visto che non ha mai fatto alcun male a frate lupo, come mostra un episodio trasmesso da una fonte non francescana, alla quale va assegnato un buon credito.
Un
monaco della seconda metà del XIII secolo ci ha lasciato infatti alcune notizie
inedite a seguito della Passione di san Verecondo; l’anonimo scrittore ricorda
che Francesco era stato ospitato parecchie volte nell’abbazia (oggi
Vallingegno, presso Gubbio) e sempre vi era stato accolto «con amore». Tra
altre cose, alla fine narra un episodio d’infinita delicatezza: «Il beato
Francesco, consumato e indebolito — scrive — a causa delle incredibili
penitenze corporali, veglie notturne, orazioni e digiuni, non potendo più
camminare a piedi, massimamente dopo che era stato insignito delle stimmate del
Salvatore, viaggiava sul dorso di un asinello. Una sera sul tardi, era quasi
notte, egli passava in compagnia di un fratello per la strada di San Verecondo,
cavalcando l’asinello, le spalle e la schiena malamente coperte da un rozzo
mantello.
I contadini cominciarono a chiamarlo dicendo: “Frate Francesco, resta con noi e
non voler andare oltre, perché da queste parti imperversano lupi famelici e
divorerebbero il tuo asinello, coprendo di ferite anche voi”. E il beato
Francesco replicò così: “Non ho mai fatto nulla di male al fratello lupo,
perché ardisca divorare il nostro fratello asino. State bene, figli, e temete
Dio!”. E così frate Francesco proseguì il suo cammino senza imbattersi in
sventura di sorta. Questo ci ha riferito uno dei contadini che era stato
presente al fatto».
Non è soltanto il riferimento al contadino che era stato presente e aveva reso
testimonianza a conferire autorevolezza al racconto: il fatto stesso che il
monastero non abbia alcun ruolo, alcuna partecipazione “positiva” allo
svolgersi degli eventi, depone già a favore di un’oggettività della narrazione.
Attendibilità ribadita anche dall’assenza d’ogni amplificazione meravigliosa
(nessun miracolo, nessuna deroga alle leggi di natura): le stesse parole
attribuite a Francesco, così paradossali rispetto al sentire comune,
difficilmente possono essere giudicate frutto di una rielaborazione
dell’anonimo. Tutto spinge, dunque, a ritenere autentico l’episodio, almeno
nella sostanza.
Francesco mostra di non temere il lupo non perché si consideri più forte di lui
e quindi in grado di tenerlo alla larga, ma perché giudica l’aggressività del
lupo una risposta all’aggressività dell’uomo. Qualora l’uomo non facesse alcun
male (agli animali e, possiamo supporre, alle piante e a ogni altra creatura)
non sarebbe neppure aggredito e l’universo tornerebbe a quella suprema armonia
che aveva contrassegnato la condizione adamitica. Un insegnamento che trova
conferma nell’episodio dei ladroni di Montecasale, lupi anch’essi, pronti a
sbranare la gente derubandola e malmenandola. Francesco consigliò ai frati di
avvicinarsi a loro armati non di roncole e bastoni, bensì di disposizioni
dettate da una squisita carità, portando cibo e vino. E anch’essi, come il lupo
di Gubbio, furono ammansiti e spinti a cambiar vita: «alcuni entrarono nella
Religione, gli altri fecero penitenza promettendo nelle mani dei frati di non
commettere mai più, d’allora in poi, quei misfatti, ma di voler vivere con il
lavoro delle proprie mani».
D’altronde, non era scritto nella prima Regola francescana: «E chiunque verrà
da loro (dai frati), amico o avversario, ladro o brigante, sia ricevuto con
bontà»? È vero pure che, malgrado la sua grande apertura verso i lupi — che
avessero due o quattro zampe — Francesco non si dimostrò affatto miope di
fronte alla violenza gratuita e alla sopraffazione. La sua naturale bontà, la
sua ferma volontà di non alzare muri, non era dunque debolezza di fronte al
male, né era il frutto di un’ingenuità dannosa. In questi giorni si discute
molto di accoglienza e certo non è la prima volta che ci si trova di fronte a
situazioni di bisogno. Nell’ultima decade del settembre 1971, di fronte ai
milioni di profughi che abbandonavano il Pakistan a motivo di una guerra civile
che incendiava il Paese, Paolo VI scrisse di suo pugno un appello recentemente
pubblicato dall’«Osservatore Romano» nella sua integrità: «Noi ora diciamo —
scriveva in quell’occasione il Pontefice — che il bisogno è così grande da
creare una questione di giustizia e che la carità deve, almeno in qualche
misura, risolvere, secondo il suo metodo, con sacrificio e con prontezza».
Il
rischio vero è che, sotto l’apparente motivazione del buon senso, si sia spinti
a diventare — anche senza cattiva intenzione — tutti dei lupi. Non diceva già
Plauto che l’uomo diventa spesso un lupo verso il suo simile? Homo homini
lupus. Commentando l’episodio del lupo di Gubbio, don Primo Mazzolari disse che
il lupo è dentro ognuno di noi, anche se si può avere a che fare con due
qualità di lupi: c’è, infatti, «il lupo selvatico, il lupo brado»,
rappresentato dal lupo famelico del fioretto, che nessuno di noi ha mai visto,
e c’è «il lupo levigato, civile, che si veste bene, il lupo in veste d’agnello,
che se la prende con il lupo che viene dalla foresta». «La carità — scrisse
Paolo VI — deve risolvere secondo il suo metodo». Come a dire: il Vangelo ha le
sue ragioni che la ragione non ha! Ma anche la lezione della storia chiede di
evitare semplicismi di ogni genere. Nel V secolo un impero ormai agli
sgoccioli vedeva i barbari scendere da nord verso sud; oggi una civiltà
occidentale al tramonto è spinta a scorgere una nuova ondata di “barbari”,
questa volta salire da sud. Allora proprio la fusione di popolazioni diverse
gettò le basi di una civiltà nuova, appunto quella del nostro occidente. Si
tratta di due situazioni differenti, per tanti motivi, e come sarà il domani
non sappiamo, ma certo la soluzione non verrà alzando steccati. (Osservatore
Romano) - Felice Accrocca
https://www.sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/attualita/attenti-all%E2%80%99uomo-(e-non-al-lupo)-san-francesco-e-il-dovere-di-ap
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