C’è più mafia al Sud o al Nord?
Domanda sbagliata: c’è in tutti i posti
In cui la famiglia conta più del marito
E’ indiscutibile che la mafia è partita dal sud all’inizio del secolo scorso e ha invaso non solo il nord Italia ma anche paesi esteri. Che poi non sia la stessa mafia di allora, i cui componenti non sapevano neppure sillabare, è evidente. Nel frattempo si sono evoluti pure loro mandando i loro figli (ora operano i nipoti ancora più istruiti e raffinati) a studiare nelle migliori istituzioni scolastiche del pianeta, ed è evidente che li ritrovi attualmente con certificati di nascita non più in Bagheria o dell’altopiano della Sila ma di città del Nord Italia.
Che poi abbiano trovato terreno fertile tra i nordisti per la loro mancanza di etica e del senso dello Stato è altrettanto indiscutibile. Al nord, secondo me, la mafia non opera solo per cercare voti, ma per lottizzare la finanza e il territorio, i voti li prende al Sud, e con quelli arriva a Roma nei centri di potere. Il 21 ottobre 2012 Francesco Pelella (fpelella@live.it) ha scritto nel suo blog: “Secondo me Saviano, parlando della presenza della delinquenza organizzata al Nord, fa un errore di fondo: confonde la sicura presenza della mafia nel mondo degli appalti e dei rapporti con la politica con una presunta presenza capillare della stessa sul territorio. La mia opinione è che al Nord non ci sono (almeno per il momento) estorsioni a tappeto né omertà generalizzata; ma non c’è neanche una tale presenza della mafia sul territorio da garantire grosse quantità di voti ai politici. Inoltre Saviano non può negare che, almeno fino ad oggi, la criminalità organizzata è gestita, anche al Nord, soprattutto da meridionali d’origine” Da parte mia plaudo a Saviano, che comunque è un uomo, e perciò fallibile, per aver avuto il coraggio civile di tentare, dico, tentare di smascherare il nostro grave cancro, tutto italiano, rappresentato dalla mafia.
Fulvia Steardo – Chiavari
Non so che importanza abbia stabilire se oggi c’è più mafia al Sud o al Nord. A mio parere la mafia è solo la punta dell’iceberg di una cultura tutta italiana, dove la struttura della parentela ancora prevale si quella della cittadinanza. Se per trovare un lavoro è necessaria una raccomandazione, se per un avanzamento in carriera bisogna dare qualcosa in cambio, magari anche solo la sottomissione e l’acquiescenza, se per vincere un concorso universitario o un primariato in un ospedale occorre avere un padrino, se un politico che vince le elezioni comunali, provinciali, regionali, sceglie gli uomini a cui affidare gli incarichi in base alla loro appartenenza, se la meritocrazia in Italia è una parola vuota, per cui i migliori sono costretti ad andare all’estero, se questo è il tessuto sociale di noi italiani, la mafia è tanto al Sud quanto al Nord, e pensare di estirparla senza prima aver modificato questo tessuto sociale che ci caratterizza è un’impresa impossibile.
La parola “famiglia”, come suole chiamarsi l’associazione mafiosa, riproduce esattamente quella struttura della parentela dove si privilegiano i figli, i nipoti e i conoscenti ai meritevoli. E così il Paese degrada non solo perché la mafia in senso proprio crea un’economia illegale e violenta che fa concorrenza a quella legale, ma perché, e forse soprattutto, non sono le persone più meritevoli e capaci quelle che ricoprono posizioni di potere, ma amici, parenti e conoscenti.
Gli antichi Greci, già nel V secolo a.C. avevano capito che la legge della cittadinanza doveva prevalere sulla legge del sangue, perciò, come ci racconta Sofocle, Antigone venne condannata a morte per aver sepolto il fratello che aveva tradito la città quando la legge lo impediva. Dopo 2.500 anni noi questa lezione non l’abbiamo ancora imparata.
A proposito poi di Roberto Saviano si possono fare tutte le puntualizzazioni che si ritengono opportune, ma la cosa più importante è chiedersi se dobbiamo considerare “civile” un Paese che costringe un giovane scrittore, poco più che trentenne, a vivere segregato e scortato e quindi privato della sua libertà. E poi ci scandalizziamo se i musulmani hanno emesso una fatwa che prevede la condanna a morte del romanziere Salman Rushdie. La condizione di Saviano non è molto differente e questo va ricordato a quanti (non dico di lei e di chi le ha scritto quel testo riportato nella sua lettera) storcono il naso quando sentono i suoi discorsi. Così facendo concorrono a diradare il consenso intorno alla sua figura, che è poi la condizione più favorevole perché la mafia possa mandare a segno i suoi propositi.
Umberto Galimberti – Donna di Repubblica – 8-12-12
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