E Mentre Le Aziende Fuggono All’Estero
La Politica Fa Battute
Il Benessere del Paese, ik futuro delle nuove generazioni, la speranza di uscire dalla crisi, in breve l’intera economia italiana poggia sulla ricchezza prodotta da poche centinaia di medie imprese e qualche migliaio di piccole. E molte sono in fuga verso l’estero.
Non c’è bisogno di avventurarsi in Cina, India o Brasile, neppure nell’Est europeo. La liberazione dei tartassati dal fisco e dalla peggiore burocrazia dell’Occidente è appena a un passo da casa: Dal principio della crisi sono migliaia le aziende che hanno spostato la produzione subito oltre il confine. I lombardi si spostano nel Canton Ticino, piuttosto che chiudere o venire divorati dalla Tasse. Settecento imprese venete negli ultimi due anni hanno preso la strada del Brennero, la maggior parte per fermarsi appena dopo, in Carinzia. Non vanno a caccia di manodopera a basso prezzo, perché i salari operai in svizzera e in Austria sono più alti. Cercano tasse eque, leggi chiare, incentivi alla ricerca, burocrazia efficiente, moderne infrastrutture. Altre quattrocento imprese fra grandi e piccole si sono trasferite in Serbia, dove hanno portato un fatturato di tre miliardi all’anno e venticinquemila posti di lavoro. Ma nel mucchio si trova di tutto, dalla chimica al tessile. La meta preferita degli imprenditori del Sud è invece il Nord Africa, soprattutto Tunisia ed Egitto, dove i cambi di regime offrono nuove opportunità di affari.
Basta fare un giro in macchina da Torino a Treviso, lungo la mitica Padania, per vedere i cimiteri della crisi, centinaia di stabilimenti e capannoni ormai vuoti, abbandonati. Niente prende il loro posto, perché nessuno all’estero ha fantasia d’investire soldi e progetti in Italia, sfidare i problemi dai quali gli stessi indigeni fuggono. Si paga caro il prezzo di venti anni di ideologia d’accatto e di politica industriale inesistente, grandi opere rimaste sulle lavagne televisive e riforme fiscali mai fatte. Chi scappa oltre il confine non lo fa soltanto per inseguire maggiori profitti, che comunque non sarebbe un reato. Nella maggioranza dei casi si tratta di scegliere se andare all’estero o chiudere e mandare a casa i lavoratori. Fuggire o morire a volte non è una metafora, viste le cronache di imprenditori suicidi.
Chiunque vincerà le elezioni, dovrà affrontare per prima questa emergenza. Eppure la campagna elettorale, almeno finora, di queste tragedie del lavoro non dice quasi nulla. Si preferisce parlare di personalissime commedie. La politica della seconda repubblica ha prodotto migliaia di polemiche personali e non ha risolto un singolo problema. I nuovi leader in campo, da Monti a Grillo, da Montezemolo a Ingroia, sono già bravissimi a duellare a colpi di battute salaci.
Curzio Maltese – Venerdì di Repubblica – 11-01-13
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