Ghazala Javed – Peshawar (Pakistan) 19 giugno
La Cantante Libera Che Mise In Crisi
Gli Assassini Talebani
Nella valle di Swat, la splendida provincia del Pakistan al confine con l’Afghanistan,
pura terra pashtun, nei millenni attraversata da Alessandro Magno e poi dal buddismo, i talebani presero il potere all’inizio del ventesimo secolo, il nostro. Vietarono tutto, compresa la televisione. Dichiararono la loro abituale guerra alle donne. La musica, il teatro, la poesia, benché fossero nel cuore della gente, furono banditi. La cantante (e danzatrice ) più famosa – si chiamava Shabana – venne portata via dalla sua casa e uccisa in pubblico nella “piazza verde” di Mingora, dove si svolgevano le esecuzioni. Uomini che scrivevano poesie, musicisti, pittori annunciarono pubblicamente il loro pentimento, si fecero crescere la barba e si dedicarono a pregare Allah. Ma poi, nel 2009 l’esercito pakistano aveva lanciato un’offensiva e aveva annunciato la liberazione della valle e dell’infame dominio talebano.
Il quale però continuava ad avere seguito, visto che le elezioni successive sono state dominate dai partiti integralisti più retrivi.
Ghazala Javed, lo si capiva subito, aveva talento per la musica, oltre a essere di una bellezza prodigiosa. Aveva 17 anni quando, con la famiglia emigrò a Peshawar, la grande città. Si fece presto conoscere, i giovani la adoravano, per come cantava in pashtun, per come muoveva i capelli, per come mescolava tradizione e pop. Ghazala incideva un album dopo l’altro, era richiesta alle feste di Kabul e di Islamabad – pagata quanto nessun’artista era stata pagata – era l’idolo delle ragazze, aveva fama internazionale. Aveva sposato un riccone di 5° anni, matrimonio combinato. Lui le aveva ordinato di smettere di esibirsi. Lei aveva rifiutato: non solo, ma aveva scoperto che suo marito aveva già un’altra moglie, o forse più di una. Allora aveva fatto una cosa che proprio non era prevista: aveva chiesto il divorzio e la notizia era diventata la prima pagina dei giornali. Si sentiva forte, anche se minacciata; non poteva più registrare la sua musica, doveva andare fino a Dubai. Ma la gioventù guardava al suo futuro, e forse la sentenza sarebbe stata a suo favore. Nell’estate scorso, il padre e la sorella la accompagnarono dalla parrucchiera a Dabgari Garden, la zona più libera di Peshawar, raduno tollerato di ragazzi, artisti e capelloni. Mentre era sotto il casco, il padre la chiamò sul telefonino: “Attenta, ho visto tuo marito qui intorno”. Fu la sua ultima telefonata. Tre proiettili in testa. E quando Ghazala uscì dal salone di bellezza, quattro colpi di pistola anche per lei. Aveva sparato un sicario, dal sedile posteriore di una motocicletta. Poi gli assassini si erano tranquillamente allontanati, nonostante i posti di blocco usuali intorno a Dabgari Garden. Il capo della polizia si affrettò a smentire che i talebani potessero essere implicati nel delitto. “Una storia di famiglia, dichiarò. Una specie di delitto d’amore.
Così è morta la più famosa e libera cantante in lingua pashtun, il 18 giugno, a 24 anni. Gettando nello sconforto la gioventù del Pakistan che la amava, cantava le sue canzoni e la vedeva come simbolo di libertà.
Venerdì di Repubblica – 2012 Gente Che va – 29-12-12
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