Etichette

giovedì 31 agosto 2017

Lo Sapevate Che: Radici con sorpresa (non sempre gradita)...



Nella Immensa Insalatiera di razze che conosciamo come America, l’origine etnica, per quanto lontana e vaga, è il ramoscello cui molti si aggrappano per cercare un’identità, magari posticcia. “Sono irlandese”, sentirete dire da qualcuno che ha un bisnonno immigrato da un paese con il quale nessuno dei discendenti ha più avuto un rapporto. “Sono italiano”, “Sono tedesco”, anche se la sola relazione concreta con la nazione da cui vennero gli antenati è la frequentazione di pessimi ristoranti. A questa tenace bisogno di conferma stanno rispondendo laboratori che, per cifre modeste e in poche settimane, analizzano la saliva per cercare le tracce di progenitori e progenitrici, nella notte del passato. “È pur curiosità”, dicono i clienti, e curiosa era Alice Campbell Plebuch, una dei quasi 10 milioni di americani che hanno speso i 99 dollari per lo studio del Dna, la mappa della propria esistenza. Era nata da una madre che vantava un’origine irlandese. Anche il padre era figlio del popolo di San Patrizio, un militare cresciuto in un orfanotrofio di suore cattoliche cui l’avevano affidato i genitori, immigrati poverissimi. Ma quando i risultati dell’esame le furono recapitati, Alce chiamò immediatamente il laboratorio, protestando per un errore evidente. Il suo Dna indicava che per metà era un’Ashkenazi, appartenente cioè a quella parte della diaspora israelita insediatasi soprattutto in Europa Orientale. Disciplinatamente, la società richiese un altro campione di saliva, ma il riesame gratuito confermò il primo esito: Alice era per metà irlandese, per metà ebrea. Niente, neppure una dei 37mila miliardi di cellule che compongono il suo corpo era stata cambiata da quella rivelazione. Quella che era cambiata, rovesciandosi completamente, era la storia della sua vita, e ka scoperta che 50 anni di feste, incontri, ricorrenze, narrazioni familiari erano stati fondati, almeno a metà, su un falso. Ma ogni risposta produce sempre un’altra domanda, e la ricerca cominciò a espandersi come la radice di un albero. Il padre sapeva di non essere irlandese o lo credeva? E se fosse stato davvero irlandese, da chi proveniva quel 50 per cento di Dna Ashkenazi? La curiosità divenne ossessione. Alice convinse i tre fratelli e le tre sorelle a sottoporsi allo stesso esame: tutti risultarono avere la stessa doppia identità genetica. Dunque la mamma era stata fedele al marito, a meno che lo avesse tradito almeno sette volte con un emigrato ebreo. Forse i primi cugini avrebbero potuto risolvere il mistero. Alice persuase anche loro a farsi esaminare. In tutti c’era la presenza di caratteri irlandesi ed ebrei. In tutti, a meno uno. Il cugino con il quale era cresciuta, che era stato il suo amico più caro, il figlio più amato della zia materna, non presentava la minima traccia di sangue ebraico. E neppure irlandese. Il suo cocktail genetico era italiano e greco. Mesi di analisi, centinaia di dollari spesi, discussioni interminabili erano serviti soltanto a dimostrare che il cugino era stato adottato, senza che i genitori glielo avessero mai rivelato. Alla fine di questa fiaba genetica, la sola conclusione accettabile è stata proprio la sua, quella del cugino-non cugino: “Alice”, le ha detto, “smettila. Se anche non siamo nati parenti lo siamo diventati nella vita che abbiamo vissuto con la nostra famiglia”. E siccome era un avvocato, le diede il consiglio che ogni buon avvocato conosce: non fate mai domande delle quali non volete conoscere la risposta. “Tu sei chi sei, Alice. Non quello che erano i tuoi antenati”.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 26 agosto 2017-

Nessun commento:

Posta un commento