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domenica 13 agosto 2017

Lo Sapevate che: Fine vita: Non c'è Fede e non c'è Scienza contro l'indifferente Natura...



Credo Che Se il piccolo Charlie Gard, quel bimbetto gravemente malato e sofferente, potesse parlare, direbbe ai genitori e a tutti coloro che vogliono protrarre i giorni dei suoi patimenti: “Lasciatemi andare alla casa del Padre”. Nell’Antico Testamento si legge: “Sono io che do la morte e faccio vivere” (Dt 32,39); “Il Signore dà la morte e dà la vita, fa scendere agli inferi e ne fa risalire” (1Sm2,6).  “La Chiesa si appella a versetti come questi per affermare: “La vita e la morte dell’uomo sono, dunque, nelle mani di Dio, in suo potere”; “Morire per il Signore significa vivere la propria morte come atto supremo di obbedienza al Padre, accettando di incontrarla nell’ora voluta e scelta da Lui, che solo può dire quando il cammino terreno è compiuto” (cfr Evangelium vitae, 67. Ora, se c’è un Dio creatore e una creazione, è ovvio che questa dipenda da Dio a “decidere” di dare la vita e la morte a ogni individuo. Il concetto non solo non trova seria rispondenza nelle Scritture, ma è contraddetto dalla ragione e dalla nostra esperienza. Si pensi a un concepimento a seguito di uno stupro, agli aborti spontanei, alle morti premature, accidentali, ecc. Non possiamo pensare che sia Dio a prendere simili “decisioni”. Che idea dovremmo farci del Creatore? Una signora racconta la storia della sua bimba che morì a 18 giorni dalla nascita e, in perfetta buona fede ovviamente, fa un’affermazione che alle mie orecchie suona come un’offesa a Dio. Scrive: “Stare per 18 giorni di fronte a quella croce è stata per me un’esperienza radicale di Amore. Ho capito che quella bimba non era mia, che non era dei medici, che era lì solo perché il buon Dio l’aveva messa lì e chiedeva a tutti di starle accanto accompagnandola al suo destino, Un pezzo di Cielo nella infinita miseria delle nostre vite. E chi ha fatto quella esperienza con noi ha visto quanta potenza di Amore possa emanare un bimbo morente”. Belle parole, ma l’errore gravissimo è attribuire a Dio la malattia e la morte della piccola. La tentazione di molti cristiani, a mio parere poco cristiani, è di protrarre il più possibile la loro “esperienza di Amore”, mettendo in secondo piano le sofferenze del malato senza speranza, che sicuramente vorrebbe essere lasciato in pace.  Elisa Merlo  lisamer@tiscali.it

Intorno Alle Situazioni Limite, che sono poi la nascita e la morte, non bisogna far chiasso in nome di Dio o contro Dio. Il rumore del mondo non deve invadere, con le prese di posizioni dettate dalla ragione o dalla fede, quel silenzio che c’è prima della nascita e dopo la morte. Se uno crede che sia Dio a dare la vita e la morte, non è il caso di andare a vedere se di questa credenza c’è una corrispondenza nelle Scritture. Perché, a prescindere dal fatto che questo riscontro lo si trovi o non lo si trovi, se uno trae conforto dal pensare che le cose vanno così, per quale sadica ragione, nell’abisso del dolore, togliergli questa consolazione? La verità, sempre difficile se non impossibile da trovare quando si tratta delle cose ultime, o serve per trovare la forza di continuare o non è di alcuna utilità. Allo stesso modo possiamo dire che è altrettanto inutile cercare conforto nella ragione che nulla sa del nostro nascere e del nostro morire, dal momento che queste situazioni-limite fuoriescono dal suo orizzonte. E lo stesso dicasi circa il far ricorso alla nostra esperienza, a sua volta, nulla sa della morte degli altri e al limite neppure della nostra, dal momento che quando moriamo non possiamo più far tesoro della nostra esperienza. Quanto ai cristiani che vorrebbero tenere in vita Charlie per “fare esperienza dell’amore di Dio”, non credo sia questa la ragione che li muove, ma semplicemente il fatto che questa tragedia, divenuta mediatica, commuove. Mentre quella moltitudine di bambini e di madri migranti che annegano nel Mediterraneo, diventando mediatici solo come cifre, non commuove nessuno, e di fronte al loro disperato affogare nelle acque, non si “fa esperienza dell’amore di Dio”. La natura distribuisce la vita e la morte con una noncuranza assoluta, dando o non dando le condizioni di esistere. Per essa non è di alcun interesse la sorte degli individui, ma unicamente il ricambio generazionale, tenendo in vita i più idonei e lasciando perire i meno idonei. La cultura, l’educazione, la scienza, la tecnica e le pratiche di cura cercano di porre rimedio a questa indifferenza della natura, fino a quel limite (marginale) con cui la cultura riesce a spingersi nel suo tentativo di contestare la natura. Ma oltre quel limite la sorte è segnata perché, come dicevano gli antichi Greci: “l’uomo è mortale”. E non muore perché si ammala ma, ce lo ricorda Michel Foucault, si ammala perché fondamentalmente deve morire.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La  Repubblica – 5 agosto – 2017 – 

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