Etichette

sabato 26 agosto 2017

Lo Sapevate Che: E' meglio studiare il Mondo o farne esperienza...



Ho Trent’anni e per carattere, ma anche per storia per storia personale, la mia tendenza è sempre stata quella di temere ciò che non si conosce. Tale atteggiamento mi ha portato a scegliere di non fare esperienza di molte cose (amore, viaggi, divertimenti giovanili, etc…), mantenendomi in un approccio tutto teorico della vita. Approccio forse non banale, ma altrettanto privo di fondamenti pratici. Quindi non verificabili. Oggi diverse persone mi dicono che per molto tempo di fatto non avrei vissuto, perché non ho fatto esperienza, o almeno ne ho fatta pochissima. Lo ammetto, ma non accetto l’accusa di non essermi misurata con la realtà delle cose, e tanto meno la definizione, non senza una punta di critica, di intellettuale. Questo è certamente vero, ma quel che contesto è che tale intellettualità, da sola, porti a non vivere. Perché per me vivere significa, prima di ogni altra cosa, imparare, conoscere. E se per molto tempo io non ho conosciuto molte cose facendone esperienza, non sono rimasta a dormire, in uno stato vegetativo. Ho letto, studiato, imparato. Così dal mio punto di vista, secondo il quale vivere equivale appunto a conoscere, io mi sento di poter dire che, sì, ho vissuto, e che questi anni non sono trascorsi affatto invano, ma mi permettono oggi di apprezzare con maggior consapevolezza le esperienze che sto facendo.   Lettera firmata

Esperienza È Una Parola equivoca. Lei, e i suoi amici che le rimproverano di non aver fatto esperienza, partire dal presupposto che l’esperienza sia offerta dalla realtà che basta frequentare per fare, appunto, esperienza. Di fatto la realtà non è mai accessibile se non nella forma già codificata da un’interpretazione personale. L’uomo, infatti, non ha  mai abitato la realtà, ma sempre e solo l’interpretazione ce le varie epoche ne hanno dato. Se infatti è vero che nel mondo antico la realtà era descritta dal mito, nel medioevo dalla scienza, e oggi dalla tecnica, ci è consentito dire che gli uomini non hanno mai conosciuto la realtà, ma solo la sua interpretazione, prima mitica, poi religiosa, poi scientifica e ora tecnica. Se non fosse stato così non potremmo parlare di storia e di successione di epoche. All’interno di questa interpretazione collettiva della realtà, c’è poi l’interpretazione personale, per cui quando i padri dicono ai figli e i vecchi ai giovani: “Parlo per esperienza” non è di alcuna utilità. Come scrive infatti il filosofo Andrea Tagliapietra in un bellissimo libro uscito in questi giorni dal titolo Esperienza (Ed. Cortina): “Nell’era di Internet, dello smartphone, dei Google Glass e degli altri apparecchi tecnologi che affollano la nostra vita quotidiana con la capillarità di un’ossessione psichica e l’invadenza di protesi corporee, l’esperienza appare sempre filtrata, mediata da dispositivi composti da schermi che tocchiamo ma non attraversiamo mai e che, quindi, non ci fanno mai toccare il mondo”. Se un tempo l’uomo doveva percorrere il mondo per esplorarlo e farne conoscenza, ora tramite radio, televisione, internet, il mondo ci è fornito a casa come l’acqua, il gas, la luce e ciò modifica radicalmente il nostro modo di fare esperienza. Se per conoscere quel che avviene nel mondo dobbiamo tornare a casa, non “siamo più nel mondo” come vuole l’espressione di Heidegger, ma siamo semplici consumatori del mondo, di cui peraltro consumiamo solo le immagini. Le quali, potendo essere evocate in qualsiasi momento, confondono in noi i concetti di “limite” e di “onnipotenza” a stretto confine col mondo dei sogni e delle allucinazioni. Se infine l’importanza di un fatto dipende dalla sua diffusione mediatica, allora la realtà dovrà misurarsi sull’apparire, ansi sulla sua illimitata duplicazione. Di questa noi facciamo esperienza, non della realtà. Ci veniamo così a trovare in una condizione analoga a quella descritta da Günther Anders in quel Racconto per bambini dove si narra questa storia: “Il re non vedeva di buon occhio che suo figlio, abbandonando le strade controllate, si aggirasse per le campagne per formarsi un giudizio sul mondo perciò gli regalò carrozza e cavalli: “Ora non hai più bisogno di andare a piedi” furono le sue parole. “Ora non ti è più consentito di farlo” era il loro significato. “Ora non puoi più farlo” fu il loro effetto”. Se l’esperienza non è un contatto con la realtà come i più credono, ma con l’interpretazione collettiva e individuale della realtà, e oggi con le immagini della realtà fornite dai media, il fatto che lei pensi molto e si ponga domande significa che è nelle condizioni migliori per decodificare le interpretazioni della realtà e per smascherarne le immagini, che i più scambiano per realtà perché vivono solo nella realtà diffusa dai media.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 19 agosto 2017

Nessun commento:

Posta un commento