Etichette

mercoledì 23 agosto 2017

Lo Sapevate Che: Don Rito, dalla Colombia a Ventimiglia...



Il Fiumiciattolo Roja è uno di quei corsi d’acqua tipici della Liguria, che dai monti piombano al mare: rigagnoli semiasciutti d’estate, torrenti gonfiati dai primi nubifragi in autunno. Sul greto del Roja, tra i banchi di sabbia e i cespugli di sterpi, vedo centinaia di neri. Sono i profughi dall’Africa che campeggiano all’aperto, nell’attesa di tentare la traversata del confine nelle zone meno custodite, affidandosi ai passeur. Versione terrestre degli scafisti. Alcuni a pagamento, magari ex-contrabbandieri riconvertiti al traffico di persone. Altri, volontari di Ong venuti dal Nord Europa a sfidare la polizia francese. O qualche montanaro francese, anarchico e libertario, che lo fa per una questione di principio, rischia la galera e non vuole un centesimo. Incontro il più improbabile di questi eroi umanitari: è venuto dalla Columbia dei narcos. Lui non si occupa di paesaggio della frontiera, solo di accoglienza. Si chiama don Rito Alvarez, è sacerdote nella chiesa di Sant’Antonio alle Gianchette , situata a pochi metri dal Roja. La storia di come don Rito sia arrivato fin qui è surreale, con un tocco di humor nero. Ha lasciato una regione che era terrorizzata da un capo narcos di origini indiane. È approdato in un comune d’Italia dove le infiltrazioni mafiose sono all’ordine del giorno (nel 2012 il governo italiano scioglieva il consiglio comunale di Ventimiglia “per gravi ingerenze della criminalità organizzata”). In fatto di criminalità don Rito è un esperto. La sua regione d’origine è il Catatumbo, nel Nord-est della Columbia. Rifugio di guerriglieri, che un tempo si dicevano marxisti, poi diventati un braccio armato del narco traffico. Don Rito ricorda “tanti comoagni d’infanzia arruolati dai narcos, e tanti uccisi in esecuzioni feroci, uno sbranato vivo dai cani”. Ricorda che prima del 1993 – l’anno in cui lui si trasferì in Italia per studiare da sacerdote – il Catatumbo era terrorizzato da gruppi paramilitari che avrebbero dovuto ripulire il paese dalle forze ribelli, e che diventavano loro stessi protagonisti o arbitri del narco-traffico, Un capo era Salvatore Mancuso, famiglia originaria di Sapri, provincia di Napoli. Oggi quel Mancuso colombiano, 52enne, è in carcere negli Stati Uniti, dopo che la Colombia ha accettato di estradarlo nel 2008. “Mancuso”, dice don Rito, fece uccidere diversi miei parenti. In tutto il territorio del Catatumbo le milizie hanno fatto diecimila morti. La sua storia la racconto per dire agli italiani che è fondamentale parlare dei terribili danni della droga. Mi serve anche per contrastare la paura generalizzata degli immigrati, la demonizzazione dello straniero. Se dovessi ragionare per stereotipi io, che ho avuto una famiglia straziata da quel boss di origini italiane, dovrei temere ogni italiano che incontro. Nell’estate del 2016 papa Francesco esortava ad aprire le chiese ai profughi. La parrocchia di Sant’ Antonio alle Gianchette, nel giorno in cui la visito, ne ospita circa 170. Soprattutto donne, bambini, ammalati. “In un anno ne sono transitati di qua 15mila”, mi dice don Rito, “e senza un centesimo di aiuti dallo Stato italiano. Tutto volontariato gratuito”. Donazioni di alimenti, lavoro volontario da parte di prof che insegnano l’italiano, do medici che garantiscono un servizio di ambulatorio. Le difficoltà maggiori le ha con i suoi vicini italiani. Il quartiere delle Gianchette è in rivolta contro i profughi, moltiplica proteste, atti di ostilità. Don Rito, visti i suoi trascorsi in Colombia, non si fa intimidire e descrive le cose in maniera semplice: “Questo è un quartiere popolare, e mafioso. Era già infrequentabile 15 anni fa. L’accoglienza dei profughi attira anche la polizia, che disturba la’ndrangheta”.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 12 Agosto 2017 -

Nessun commento:

Posta un commento