Più grande di tutte
Definita meritatamente la più grande
attrice teatrale di tutti i tempi, Eleonora Duse è stata un "mito"
del teatro italiano: a cavallo tra la fine dell'Ottocento e i primi del
Novecento, ha rappresentato con la sua profonda sensibilità recitativa e la sua
grandissima naturalezza, opere di grandi autori come D'Annunzio, Verga, Ibsen e Dumas. Nata il 3 ottobre 1858 in una stanza d'albergo di
Vigevano (Pavia) dove la madre, attrice girovaga, sostò per partorire, Eleonora
Duse non frequenta una scuola, ma a quattro anni è già sul palcoscenico: per
farla piangere, come richiede la parte, qualcuno dietro le quinte la picchia
sulle gambe.
A dodici anni sostituisce la madre
ammalata nei ruoli di protagonista della "Francesca da Rimini"
di Pellico, e della "Pia dé Tolomei" di Marenco. Nel
1873 ottiene il primo ruolo stabile; sosterrà parti da "ingenua"
nella compagnia paterna; nel 1875 sarà invece "seconda" donna nella
compagnia Pezzana-Brunetti.
All'età di vent'anni Eleonora Duse viene
assunta con il ruolo di "prima amorosa" nella compagnia
Ciotti-Belli-Blanes. Ottiene il primo grande successo nel 1879, interpretando
con struggente sensibilità, a capo di una compagnia con Giacinto Pezzana, la
"Teresa Raquin" di Zola.
A ventitré anni è già prima attrice, e a
ventinove capocomica: è lei a scegliere il repertorio e la troupe, e ad
interessarsi della produzione e delle finanze. E tutta la vita avrebbe imposto
le sue scelte, portando al successo autori di rottura, come il Verga di "Cavalleria rusticana", che rappresenta con enorme successo nel 1884.
Tra i maggiori successi di quegli anni troviamo "La principessa di
Bagdad", "La moglie di Claudio", "La signora delle
camelie" e molti altri drammi di Sardou, Dumas e Renan.
Attrice sensibilissima, Eleonora Duse si
preoccupa di rafforzare con lo studio e con la cultura le sue doti innate: per
far questo si sarebbe rivolta ad un repertorio di livello artistico sempre più
alto, interpretando opere come "Antonio e Cleopatra" di Shakespeare (1888), "Casa di bambola" di Ibsen (1891) e alcuni drammi di Gabriele
D'Annunzio ("La città morta",
"La Gioconda", "Sogno di un mattino di primavera", "La
gloria"), col quale avrebbe avuto un'intensa quanto tormentata storia
d'amore, durata diversi anni.
Nei primi anni del Novecento la Duse
aggiunge al suo repertorio altre opere di Ibsen,
quali "La donna del mare", "Edda Gabler",
"Rosmersholm", che rappresenterà per la prima volta a Firenze nel
1906. Nel 1909 avviene il suo ritiro dalle scene. In seguito la grande attrice
appare in un film muto, "Cenere" (1916), diretto ed interpretato da
Febo Mari, tratto dal romanzo omonimo di Grazia Deledda.
La "Divina" tornerà sulle
scene nel 1921 con "La donna del mare", portato anche a Londra nel
1923.
Si spegne a causa di una polmonite nel
corso di una lunghissima tournée negli Stati Uniti, all'età di sessantacinque
anni, il 21 aprile 1924 a Pittsburgh. Viene poi sepolta secondo volontà nel
cimitero di Asolo (TV).
È sfumata, nella Duse, la separazione
tra donna e attrice. Come lei stessa scrisse a un critico teatrale: "Quelle
povere donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore e nella
testa che mentre io m'ingegno di farle capire alla meglio a quelli che
m'ascoltano, quasi volessi confortarle, sono esse che adagio adagio hanno
finito per confortare me".
La "Divina" non si truccava
mai in scena o fuoriscena, né temeva di indossare il viola, aborrito dalla
gente di spettacolo, né amava le prove, che preferiva nei foyer degli alberghi piuttosto che in teatro. Aveva una passione per
i fiori, che spargeva sul palcoscenico, indossava sui vestiti, e teneva in mano
giocherellandoci sopra pensiero. Dal carattere determinato recitava spesso in
piedi con le mani sui fianchi e seduta con i gomiti sulle ginocchia: atteggiamenti
sfrontati per quei tempi, che tuttavia l'hanno fatta conoscere e amare dal
pubblico, e che la fanno ricordare come la più grande di tutte.
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