Sareste disposte ad acquistare una bottiglia di “Barolo omeopatico”,
ottenuto con un processo di ripetute diluzioni in acqua? L’esempio è stato
usato da Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri, in
un’intervista a Presa Diretta per
spiegare cosa (non) contengono i preparati omeopatici. Da oltre 200 anni,
l’omeopatia s basa sulla teoria del “simile che cura il simile”. Senza indagare
le cause della malattia, si somministra la stessa sostanza che provoca il
sintomo. Ma diluita. Una goccia di sostanza “curativa” è diluita in 99 gocce di
acqua. Poi da questo nuovo “prodotto “si preleva un’altra goccia e la si
diluisce in altre 99 e così via. Il CH che si legge sulle confezioni indica il
numero di diluizioni che possono arrivare fino a 200 (200CH). Le gocce
porterebbero con sé la “memoria” della sostanza così trasferita all’acqua nei
vari passaggi. Nelle preparazioni a basse diluzioni (sotto le 12CH) ci potrà
essere qualche “molecola di Barolo” (Lo considerereste ancora Barolo?) ma nelle
più usate alte diluizioni non rimane nulla. Solo “acqua fresca” e zucchero. Un
effetto placebo venduto a caro prezzo. Nella scorsa legislatura l’associazione
delle aziende di prodotti omeopatici, Omeoimprese, ha inviato ai membri della
Commissione Sanità del Senato i risultati dell’indagine sul “peso elettorale
dell’omeopatia”. Tra gli obiettivi, anche capire, quanto fosse rilevante
l’attenzione della politica nei confronti del settore. Agli “users omeopatici”
indecisi sul voto, ad esempio è stato chiesto se di fronte alla valorizzazione
dell’omeopatia da parte di un partito avrebbero potuto pensare di andare a
votare. Da scienziato, mi colpisce che gli imprenditori dell’omeopatia, anziché
promuoversi sulla base di evidenze scientifiche e prove di efficacie per la
salute, puntino (ripieghino?) sul peso elettorale di chi usa questi preparati e
sulla vox populi – dal siero di Bonifacio a Stamina – per modificare la
normativa di settore. Compito della buona politica è invece essere legata ai
fatti, allontanando i seduttori che promettono facili consensi. Lo ha fatto il
governo inglese nel 2017, escludendo i prodotti omeopatici dal rimborso
sanitario. In Italia i prodotti omeopatici sono fiscalmente detraibili ed
esperti stimano che ogni anno sono richieste detrazioni per circa 50 milioni di
euro, risorse che potrebbero essere investite, ad esempio, in assistenza ai
malati cronici. Nel 2015 Nature ha inserito l’omeopatia tra i falsi miti duri a
morire. Il motivo, forse, risiede anche nel fatto che a prescriverne i
preparati sono medici e pediatri (in tutto in Italia sono circa 29mila quelli
“omeopati”). Sia chiaro, l’assunzione del preparato non è rischiosa (non
contenendo nulla), ma l’illusione che “curi” può ritardare l’assunzione di un
trattamento necessario, con gravi conseguenze e, purtroppo, non mancano esempi.
Negli Usa la FDA ha imposto che sui prodotti omeopatici sia specificato che non
sono stati controllati scientificamente. E qualcosa si muove anche in Italia.
Nel 2017, il Comitato nazionale di bioetica ha chiesto di sostituire il termine
“medicinale” con “preparati” in etichette e fogli illustrativi di prodotti
omeopatici, e di riportare la dicitura “di efficacia non convalidata
scientificamente”. Mentre a marzo di quest’anno il Consiglio nazionale della
Federazione nazionale degli ordini dei medici ha accolto la meritoria richiesta
del Presidente Filippo Anelli di istituire una commissione che riveda la
posizione della Federazione in tema di omeopatia. Le parole sono importanti.
Tanto più quando l’argomento è la nostra salute. Guai, quindi, a parlare di
“cure” o “terapie” omeopatiche. Ed è sbagliato anche parlare di “medicina
alternativa”, perché di alternativo alla medicina basata sulle evidenze
scientifiche c’è solo la non-medicina. Che non-cura e non-guarisce.
Elena Cattaneo – Opinion – Donna di La Repubblica – 26 maggio
2018 –
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