Qualche Tempo Fa mi sono imbattuta in rete in uno di
quei video vitali capaci di insinuarsi nelle nostre coscienze smarrite e nella
nostra emotività fragile lasciandoci lacrimosi e disarmati. Il messaggio non
era sofisticato né sottile ma melenso, diretto e ammiccante tanto da sedurre i
naviganti sprovveduti. Era rivolto alle madri ma si adattava bene anche ai
padri e, a riguardarlo bene (noi creature facili alla suggestione usiamo
reiterare infinte volte le nostre debolezze), a chiunque sia sensibile
all’annoso tema dell’ineluttabile trascorrere del tempo. S’intitolava Le notti sono lunghe ma gli anni sono brevi e
mostrava la nota odissea dei genitori durante la prima infanzia dei figli. “Le
notti sono lunghe quando il tuo bambino piange senza sosta, quando preghi
invano che si addormenti, quando è malato e non sai che fare” diceva, mentre
scorrevano immagini di piccoli e madri stravolte. Il frugoletto insonne
inevitabilmente cresce, come ci mostra il sadico video, ma lo stillicidio
prosegue nelle tenebre della sua adolescenza. “Le notti sono lunghe quando ti
domandi se hai fatto abbastanza, quando occhi che ridevano adesso si alzano
esasperati al cielo alle tue parole, quando è in giro con gli amici, quando
parte in macchina per le vacanze”. Non c’è alcuna pietà, secondo il video e il
calendario, nonostante l’infinita durata delle notti, gli anni scorrono via
veloci e ci troviamo stanchi, provati e anziani. Una beffa agghiacciante
raccontata con grazia. Una lampante verità, che non illudetevi, vale anche per
tutti voi tronfi childfree che vivete
attimi splendidi e atroci, cristallizzati sull’onda d’urto delle emozioni forti
delle vostre vite spericolate. Vittime di un diverso ma parimenti feroce
destino, ci ritroveremo accanto un giorno, sulla stessa panchina dei giardini,
a disquisire di rimpianti, languori e nostalgie. È proprio così che funziona?
No c’è alcun modo di allungare tutto, più bello e meno brutto, di dilatare i
nostri giorni affinché, quando ci guarderemo indietro, non ci parranno attimi
ma pienezza, appagamento e, se saremo molto fortunati, persino significato? Me
lo domando spesso, non solo quando inciampo in epifanie melense e insidiose online
ma anche quando studio gli uomini preistorici con mio figlio piccolo e ci
ritroviamo a ridere insieme di un dettaglio buffo. Me lo chiedo quando siamo
tutti assieme in macchina, nella preziosa e sempre più rara intimità di un
abitacolo, e le parole si mischiano e ognuno regala agli altri un pezzo di sé.
Mi interrogo quando lavoro e mi accorgo che è proprio lì che voglio essere. Mi
fermo quando sono felice e cerco la formula magica per trasformare tutto questo
in densità duratura, e non in lampi effimeri di cui perderò memoria. Mia cugina
ogni venerdì sera riunisce intorno al tavolo la sua famiglia e ognuno deve dire
quel che è stato il momento più bello della settimana. Un giorno, ospiti a casa
loro, lo abbiamo fatto anche noi. Ed è stato un modo per fermare la vita e
rifletterci su. Mi è piaciuto proprio perché è un antidoto alla brevità degli
anni. La mia maestra di yoga dice che uno dei maggiori insegnamenti della
pratica è stato per lei la capacità di vivere il momento, senza lasciarsi
distrarre dalle interferenze. “Se mi lavo i denti, mi concentro solo su quello
senza pensare a nient’altro” dice. Anche questo mi pare un buonmodo per
salvarsi dal rischio di voltarsi e vedere solo un miscuglio indistinto d notti
da incubo e di gioie caduche. E da oggi, proverò a evitare i vdeo furbi e a
guardare di più lo spettacolo qui fuori, per darlo durare più a lungo
possibile.
Claudia de Lillo – Donna di La Repubblica – 2 giugno 2018 -
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