“Erano due razze in antica
tenzone”. Il verso estrapolato da una poesia di
Umberto Saba, non c’entra nulla con la cronaca politica, anche se a
rammentarcelo sono stati proprio gli avvenimenti delle scorse settimane. Quelle parole hanno
un valore autobiografico per Saba, mentre io le applico nelle recenti vicende nazionali.
Strappando dal suo contesto poetico un’immagine intima, alfine di descrivere un
pubblico dramma, commetto senz’altro un abuso. Ma corro il rischio! Per me le
due razze in antica tenzone sono i protagonisti dell’attualità italiana: da un
lato Sergio Mattarella dall’altro Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Il confronto
è avvenuto platealmente, ed è un episodio che dovrebbe ormai appartenere alla
storia della nostra Repubblica (che non è la “terza”, come non c’è stata la
“seconda”, poiché le Repubbliche cambiano quando cambia la Costituzione, e la
nostra è ancora quella della “prima”). Molte cose lasciano tuttavia pensare che
avrà un seguito. Il confronto è appena iniziato. Da un lato un anziano signore,
settantasei anni, che misura, risparmia i movimenti. E si ha l’impressione che
lo faccia per timidezza. Forse per discrezione. Le spalle in avanti, le braccia
avare di gesti, l’espressione oscillante tra un debole sorriso e un’ombra di
tristezza. Sembra che ubbidisca a un cerimoniale monastico, imposto da lutti,
che l’hanno colpito e dai compiti che gravano su di lui. Abiti grigio o blu,
capelli candidi, un’arte oratoria senza svolazzi, essenziale. Un monumento di
riservatezza in un paese chiassoso. Un siciliano silenzioso che sfodera la
dignità suscitando ammirazione e irritazione. Un non comune prezioso frammento
di civiltà italiana. Luigi Di Maio è di un’altra razza. Anch’essa italica. Un giornale
straniero ha definito il suo aspetto da “prima comunione”. Non lo è sempre. Il
carattere può essere impetuoso, nel senso di precipitoso, irriflessivo: così è
stato quando ha minacciato di promuovere una procedura per la destituzione del
presidente della Repubblica. Si è rimangiata quell’intenzione poche ore dopo e
ha accettato anche la sostituzione, appena rifiutata, del candidato ministro
all’Economia, giudicato antieuropeo da Sergio Mattarella. Non è stato il fermo
comportamento di un uomo politico ai suoi primi passi. Rievoca una cronaca già
superata, arricchitasi di fatti che hanno rimesso sui binari, almeno
provvisoriamente, la politica nazionale. Ma avendo seguito dall’estero quegli
avvenimenti, con la sensibilità particolare dichi vive da lontano quel che
accade nel proprio paese, le immagini e le notizie captate con avidità in quei
giorni mi sono rimaste vive, irrisolte, nella memoria. Mi è rimasta soprattutto
impressa la profonda diversità dello stile dei protagonisti durante la lunga
trattativa per la formazione del nuovo governo. Ho scoperto con grande ritardo
la personalità del presidente Mattarella. E ora penso che il suo sguardo, dal
quale trapelano appena le emozioni, seguirà Luigi Di Maio e Matteo Salvini
nelle prossime settimane, mesi, anni. E questo, almeno in parte, mi rassicura.
Anche le figure dei due neo vicepresidenti del consiglio mi sono apparse più
chiare. Il temperamento di un uomo finisce col determinare la sua
volontà, il suo comportamento. E il linguaggio, a tono costante, è rivelatore.
Prendiamo Salvini. Lui cita spesso i mercati, lo spread, a quali si dà, a suo
parere, più valore che al voto degli italiani. E si vorrebbe che lo
influenzassero. Lancia inoltre le sue sfide alla Germania e a Bruxelles, che
pretendono di decidere al nostro posto. In altri regimi, in altri tempi, si
parlava di plutocrati e di Perfida Albione. Salvini non è il solo a reagire ai
giudizi non sempre lusinghieri per l’Italia dopo il voto del 4 marzo. In
particolare a quelli tedeschi. Non erano lusinghiere neppure le caricature di
Angela Merkel con la svastica nazista al braccio pubblicate quando la Germania
predica o imponeva il rigore durante la crisi economica. Sempre per quel che
riguarda Salvini, non è sfuggita agli stranieri che seguivano con me gli
avvenimenti italiani la sua ammirazione per Putin. E anche gli stretti rapporti
tra la Lega e il partito del presidente russo. Insieme al desiderio (represso,
accantonato) di uscire dall’euro, c’è tra le sue vaghe intenzioni quella di
uscire dall’alleanza occidentale, dal Patto Atlantico? Resta, infine, il
rapporto tra i due personaggi, il leghista Salvini e il grillino Di Maio, uniti
da un contratto di interesse e non da un’alleanza di idee.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori –
L’Espresso – 10 giugno 2018 -
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