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lunedì 4 giugno 2018

Lo Sapevate Che: Una domenica di ordinaria follia...


Premessa: Odio I centri commerciali. Ne detesto l’odore, il rumore, i colori, la filosofia. Mi stordiscono, mi soffocano e mi ricordano contemporaneamente il luna park e la prigione, o una loro mostruosa sintesi. Di solito li evito, perché nei centri commerciali tiro fuori l peggio di me. Però quello si chiama “shopping district”, ed è stato progettato da Zaha Hadid, che è l’architetta più famosa del mondo ed era anche laureata in Matematica. E poi lì ci sono due grattacieli bellissimi che non ho ancora visto da vicino e, da milanese, mi pare imperdonabile non conoscere quell’intervento che descrivono come “rigenerazione urbana”. Così una domenica mattina decidiamo di avventurarci nella zona ovest della città, attirando i figli con la prospettiva di un irrituale cinema all’ora di pranzo perché, di ds, nei centri commerciali si può fare tutto, persino vedere un film. A un tratto prendo coscienza che a casa ci manca lo zucchero e comunico ai quattro maschi l’intenzione di avventurarmi nel supermercato al piano di sotto. “Intanto mangiamo qualcosa”, dice mio marito mentre il piccolo chiede una crepe, il medio una pizza e il grande del sushi, ben consapevoli, nonostante la giovane età, dell’infinitezza dell’offerta gastronomica di quella che lì dentro hanno ribattezzato “food hall”. Io sono giù, alla ricerca dello zucchero, persa nel mezzo della cosiddetta “shopping experience”, tanto maestosa quanto disorientante, quando una voce maschile a volume altissimo avverte che “Si sta verificando una possibile situazione di emergenza”, e ci invita ad attendere istruzioni. Intorno a me silenzio, sguardi persi, adrenalina. Intanto la voce ripete lo stesso messaggio, una, due, dieci volte. Prima che la paura si faccia panico, in balia di pensieri casuali e vorticosi, decido che non starò ad aspettare sottoterra istruzioni da una voce metallica. E, in una sincronia telepatica, decine di persone come me si precipitano verso la scala mobile accalcandosi in direzione dell’uscita. Una donna alle mie spalle grida sopra la sirena dell’allarme: “Qualcuno spara!”. Dice sul serio? Scherza? È possibile che qualcuno apra il fuoco in mezzo a tutta quella gente? Certo che l è. Non sarebbe la prima volta. Per qualche istante è solo terrore. E in quel distillato purissimo di angoscia, panico e lucidità, mi scaravento all’esterno, il cellulare in mano, nella testa solo un’immagine: i quattro uomini della mia vita lì dentro, in pericolo, lontani da me per colpa di n chilo di zucchero. Devo rientrare subito. Devo proteggerli. In un delirio apocalittico immagino me stessa, martire eroica, fare da scudo ai loro corpi e salvare loro la vita ma non la mia. Dove si trovano Dallo spazio antistante il centro commerciale, in mezzo a uno sparuto gruppo di avventori disorientati, chiamo mio marito. Il numero squilla a vuoto. Riprovo ancora, ancora e ancora. Niente. L’economista marxista barese ha un pessimo rapporto con il telefono e la sua risposta, non la sua sordità, è l’eccezione. Io lo so bene, eppure la sua noncuranza mi pare, in quel frangente, inequivocabile presago di tragedia. C’è un’emergenza, penso. Perché non mi parla? Perché non mi chiama? Sono atterrita, impotente e ignara. Sono i tre minuti peggiori della nostra esistenza e lui non sente il cellulare. “Il solito test. All’ora sbagliata”. Una voce alle mie spalle. Un ragazzo con la divisa della piadineria fa capolino da una porta di servizio. Sta fumando, l’aria scocciata di chi la sa lunga. Torno dentro, le mani continuano a tremare, il cuore non ha ancora ritrovato il suo posto. Li avevo persi, li ritrovo placidi, seduti intorno a un tavolo rotondo. Ognuno mangia un cibo diverso. Non si sono accorti di niente. Loro.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 26 maggio 2018 -

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