“Che la mia ultima magia mi
trasformi/In una statua di me stessa in corpo vivo!”. Non si tratta di un
incantesimo, ma è un verso di L’ultimo
sortilegio di Fernando Pessoa, poesia che ben prova accanto al poeta di
avanguardia, al poeta plurale diviso nei suoi eteronimi – lo stesso cui Antonio
Tabucchi in Gli ultimi giorni di Pessoa
fa dire “sono stato uomo, donna, vecchio, bambina, sono stato la folla dei
grandi boulevards” – un animo appassionato di esoterismo e occultismo. Un
profilo così affabulante del poeta si rivela oggi in La bocca dell’Inferno
(Federico Tozzi Editore, a cura di Marco Pasi) che contiene un prezioso romanzo
inedito di Pessoa su un caso di cronaca nera di cui fu uno dei due
protagonisti. L’altro è Aleister Crowley, poeta anch’egli, occultista, uno che
riesce a far sensazione ovunque: a Parigi è un bohémien amico di Rodin, a
Berlino fa scoprire la mescalina ad Aldous Huxley, a Cefalù fonda una setta
religiosa ma viene espulso dall’Italia fascista che mal tollera le società
segrete. Tale è il suo carisma, che a lui si ispira Somerset Maugham per il
romanzo Il mago. Anche Pessoa ne
resta affascinato quando se lo vede sbarcare a Lisbona il pomeriggio del 2
settembre del 1930.Dal denso epistolario ra i due poeti, proposto nel volume,
sappiamo che devono parlare di affari editoriali e di occultismo e che Crowley
organizzerà un rito di iniziazione per ammettere Pessoa all’Ordo Templi
Orientis, la setta esoterica di cui è capo, ma ancorché originale, non è questo
il centro d’attrazione del testo. A Crowley, piantato in asso all’improvviso
dalla sua giovane compagna e disperato, viene un’idea, inscenare il proprio
suicidio per risvegliare l’interesse sul suo nome e sulle sue opere. Pessoa
sarà suo complice, entrambi versano in condizioni economiche precarie. Così, su
una baia cara agli aspiranti suicidi chiamata la Bocca dell’inferno, vicino
Cascais, Crowley lascia un biglietto all’amata: “Non posso vivere senza di te.
L’altra Boca do Infierno mi avrà. Non
sarà tanto ardente quanto la tua!” e sparisce. La farsa ha inizio. Come
previsto, i giornali si precipitano: “Qual era l’intenzione di Crowley quando
ha scritto questa lettera allucinata?” si chiede il Diario de Noticias mentre la rivista francese Détective non sa se il caso appartenga “al mondo allucinante dei
falsi morti, o dei falsi vivi”. Ma il piano prevede un’altra mossa: sotto le
mentite spoglie di un investigatore privato, Pessoa scrive appunto un romanzo
in inglese, un poliziesco sul caso. Sebbene nell’opera, rimasta incompiuta, sia
centrale la rivelazione del mistero, si riconosce la mano del Pessoa-poeta:
l’ossessione per il frammento si impone nella struttura mentre il bilico tra
realtà e pseudo realtà ci riporta al tema del doppio, così nevralgico nella sua
poetica. Alla fine, la trovata di marketing non risolleva così tanto le finanze
dei due, anche se la verità verrà scoperta molto dopo poiché entrambi i poeti
hanno mentito “dannatamente bene”, come avrà modo di vantarsi Crowley. Tutto
secondo i canoni di quella “finzione vera” tanto cara a Pessoa: per lui, come
scrisse nella celebre Autopsicografia,
il poeta è prima di tutto “un fingitore”.
Angelo Molica Franco – Cultura – Il Venerdì di La Repubblica
– 25 maggio 2018 -
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