Esausta Dopo 28 ore di viaggio da Lagos, Nigeria, a Houston via Francoforte, Queen Obioma trascinò se stessa e le sue due bambine a bordo dell’aereo che l’avrebbe trasportata alla meta finale e ancora lontana dell’odissea: Toronto. A stato solo il Canada ad accettare che lei e le figlie potessero risiedere legalmente nel Paese per presentarsi alla prova di ammissione all’università e al liceo con l’obiettivo di trasferirsi definitivamente in Nord America. Benestante e di buona famiglia, Queen aveva speso una fortuna in classe business, per rendere più tollerabile il viaggio. Ma appena salita a bordo, una sorpresa l’attendeva. Un’altra persona, un texano, aveva occupato il suo posto e, quando l’assistente di volo gli chiese di spostarsi, lui rifiutò. Troppo stanca per litigare o arrabbiarsi, la signora accettò un altro posto. Ma le sorprese erano soltanto all’inizio. Il passeggero americano chiamò l’assistente di volo prima del distacco dal gate. “Dovete far scendere quella donna”, le disse. “E perché?”, domandò l’assistete, “Ha una regolare carta d’imbarco”. “Perché Puzza”. “Ma di che cosa?”. “Puzza e basta. Lei e quelle due ragazzine stanno ammorbando tutta la cabina”. Il comandante del volo, avvertito dall’equipaggio, intervenne e ordinò a Queen Obioma e alle figlie, che nel frattempo si erano spruzzate il deodorante, di sbarcare. “Per evitare risse e disordini a bordo”, spiegò. Naturalmente, ora c’è una causa contro la compagnia aerea, la United Airlines, per discriminazione razziale. L’esito dovrebbe essere scontato, ma nessuna sentenza potrà mai cancellare uno dei più radicati stereotipi razzisti: la convinzione che i neri puzzino. Non ci sono ragioni fisiologiche per spiegarlo, perché l’odore che i nostri corpi emanano è determinato dall’alimentazione, dalle condizioni di salute e dall’igiene personale, non dal colore della pelle. Un nigeriano che non si lava puzza quanto no svizzero allergico al sapone. Negli Usa si diceva che gli italiani puzzassero, perché negli slum dove erano ammucchiati dopo lo sbarco, bagni e sapone erano una rarità. Il consumo di aglio aggiungeva all’odore delle brillantine un aroma inconfondibile ai nostri emigrati, ribattezzati spregiativamente greasehead, teste unte, o garlic eater, mangia aglio. Il sudore che grondava a secchi dalle schiene degli schiavi africani curvi nelle piantagioni di cotone, e che non potevano camuffare con acqua di colonia come i padroni, certamente contribuì a creare l’impressione che quegli uomini e quelle donne puzzassero naturalmente. Quel passeggero semplicemente non voleva viaggiare accanto a una “negra”, per di più africana, ma non potendo dirlo, dovette aggrapparsi alla scusa dell’odore. E se il suo miserabile espediente ha funzionato, è anche perché, in Usa più che altrove, l’igiene personale è considerata non solo una necessità civile, ma una sorta di religione nazionale. Furono i primi pionieri protestanti a coniare l’associazione fra la pulizia e il divino. Ceanliness is close to godliness, predicavano, e guardavano il resto del mondo come più sudicio, con denti guasti e alito mefitico. Eppure diversi conoscenti strabuzzano gli occhi quando scoprono che, nel bagno di casa mia, ho fatto installare un oggetto osceno chiamato bidet. Respinta dall’aereo, Qeen Obioma dovette trascorrere la notte a Houston, imbarcarsi il giorno dopo e, in due voli raggiungere Ontario, perdendo gli appuntamenti fissati. Il suo sogno di andare a vivere in Canada è svanito, come il profumo di un deodorante.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna
di La Repubblica – 2 giugno 2018 -
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