Quando E’ Meglio Una Bugia
Dire a un bambino la verità, senza chiedersi se è in grado di comprenderla, assolve chi parla, ma crea disastri
Carissimo professore, le chiedo aiuto per dipanare un mio dubbio. Il fratello tredicenne di un compagno di classe di mia figlia che ha sette anni, si è tragicamente suicidato lasciando un biglietto di scuse alla famiglia. Sul tragico avvenimento le maestre di mia figlia hanno spiegato alla classe che si è trattato di una tragedia, frutto di una fatalità data dalla curiosità di giocare con il fucile del padre. Ma una nostra conoscente psicologa, relazionata sul fatto, suggerisce di dire la verità (suicidio!).
Mi chiedo, come può una bambina di sette anni elaborare il concetto di suicidio? La sua psiche è pronta ad affrontare ciò che neanche io riesco a spiegarmi? Mi si obietta che è giusto dire la verità, anche se con i dovuti modi. Ma che cos’è la verità nella mente di una bambina? Io la penso come le maestre, meglio dire una “bugia”, e poi mi chiedo è giusto o non è giusto dire la “verità”?
Salvatore Passaniti – malvatur@alice.it
“Verità” è una parola che la tradizione ha tal punto nobilitato, che muoverle anche una piccola obiezione provoca sdegno. “Dire la verità” nobilita chi si attiene a questo principio e acquieta la coscienza: Ma siccome di coscienze beate ce ne sono fin troppe, coscienze che con quattro principi-guida evitano la problematicità e la complessità del reale, forse qualche riflessione sull’opportunità di dire sempre la verità è utile farla.
La verità è verità quando chi l’ascolta la comprende esattamente nel senso e nel significato che si propone chi la enuncia. Di questo si fanno solitamente carico gli psicoterapeuti che non di rado, dopo poche sedute, hanno un quadro abbastanza preciso della condizione psicologica del loro paziente, ma evitano di comunicargliela perché non sarebbe compresa o addirittura sarebbe rifiutata fino al momento in cui, attraverso il lavoro terapeutico, il paziente non ci arriva da sé. Solo in quel momento la verità è compresa. Prima sarebbe stata incomprensibile e quindi vissuta come non vera. Nel caso che lei mi espone “dire la verità” è possibile solo se i bambini di sette anni che l’ascoltano hanno già interiorizzato nella loro psiche il concetto di morte. Questo non è possibile, perché, come ci insegna Freud in un suo saggio che porta il titolo: Noi e la morte, neppure la psiche adulta è in grado di interiorizzare il concetto di morte. “Sappiamo” con la nostra testa che dobbiamo morire, dice Freud, ma la nostra psiche non lo “sente”. E a questo proposito Freud cita l’esempio di un suo paziente che dice: “ Io e mia moglie abbiamo fatto un patto, il primo di noi due che muore, io vado a Parigi”.
Che la tesi di Freud abbia una sua plausibilità ce lo conferma il fatto che ad eccezione degli antichi greci, che Nietzsche definisce il popolo più grande mai apparso nella storia perché ha avuto il coraggio di guardare in faccia il dolore, tutti i popoli e le loro credenze (compresi i cristiani e la loro fede) hanno ipotizzato una vita dopo la morte, che equivale alla non accettazione della fine definitiva della propria vita.
Nel caso da lei esposto, poi, i bambini di sette anni dovrebbero interiorizzare, oltre al concetto di morte, anche il concetto di morte inflitta da sé come è appunto il suicidio. Questo significa che per comprendere questa “verità” i bambini di sette anni abbiano conosciuto il deserto della depressione, il silenzio opaco e buio di quella notte nera, la sensazione di un’impossibilità di continuare la propria vita in quelle determinate circostanze, la sensazione che, dopo un certo evento, non c’è più futuro. Troppe cose da capire e per giunta in un’età in cui non si possono capire.
Sempre a proposito della “verità”, voglio chiudere queste mie considerazioni con un elogio della bugia infantile. Una volta per strada ho sentito dire da una mamma al suo bambino: “Non dire le bugie perché la tua mamma ti conosce meglio di te”. In realtà la bugia infantile è il primo modo con cui un bambino cerca di costruirsi un mondo suo che gli altri non devono conoscere. Questo spiega anche il gioco dei bambini che si scambiano i “segreti”. Sono bugie e segreti che la mamma conosce, ma non li deve svelare, perché il bambino perde fiducia nella possibilità appena abbozzata di costruirsi un mondo suo. Vede come sono complessi i giochi di verità e menzogna?. Per cui “dire la verità” a prescindere da chi l’ascolta, senza farsi carico di sapere se chi l’ascolta è in grado o meno di capirla, assolve la coscienza di chi parla, ma fa un disastro in chi ascolta.
Umberto Galimberti@repubblica.it
Donna di Repubblica 24-11-12
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