Il Buon Giornalista
Dev’Essere Chiaro,
E Dire Subito I Fatti
Nel passato si apprendevano le notizie attraverso i giornali:
cronaca scritta. Adesso le notizie
si apprendono anche attraverso radio e televisione:
cronaca parlata. Accanto ai cronisti della carta stampata ci sono dunque i radiocronisti e i telecronisti. E ogni canale di comunicazione ha il suo codice di comportamento; ha il suo stile. Sono anche diverse le vocazioni: non è detto che un cronista bravo alla radio e alla televisione sia altrettanto bravo quando scrive, e viceversa: è piuttosto vero il contrario. C’è però un criterio, per giudicarne la bravura, che vale tanto per gli uni quanto per gli altri.
I cronisti, quale che sia il mezzo di comunicazione, si dividono infatti in due categorie: quelli la cui priorità è raccontare quel che è successo; e quelli la cui priorità è dimostrare quanto sono, essi stessi, brillanti, intelligenti e colti. Nel caso della cronaca scritta, quelli che vogliono dimostrare di essere brillanti e colti esordiscono per lo più con una similitudine, o con una reminiscenza letteraria; e poi, nella stesura del “pezzo” (così si chiama, in gergo), divagano ricamano di continui, come se il lettore avesse tempo da perdere. Spesso bisogna leggere mezza colonna prima di capire che cosa sia successo. Già cento anni fa Mario Borsa, gran giornalista, in un opuscolo in cui dava consigli ai giovani giornalisti scriveva (cito a memoria): “Il fatto! Il lettore vuole sapere il fatto! Non nascondete il fatto in divagazioni letterarie! “ Ricordate l’antica regola? Nella prima frase bisognerebbe rispondere a cinque interrogativi: chi, che cosa, dove, quando, perché.
Nel giornalismo parlato, alla radio e alla televisione, il giornalista legge un testo: divagare non può. Ma un buon cronista ha una priorità: aiutare l’ascoltatore a comprendere quel che è successo. Molti di loro, invece, leggono a scatti, con pause improvvise, inflessioni di voce, variazioni nella velocità di lettura. Per essere originali, ovviamente. Io li trovo insopportabili.
Piero Ottone – Venerdì di Repubblica 23-11-12
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