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Sempre durante il periodo bellico, quando ero tornata nella casa di Milano, il papà e lo zio si isolavano in sala ad ascoltare la radio in gran segreto, mentre una voce monocorde scandiva frasi strampalate, aperte e chiuse da un funereo gong. Era Radio Londra che forniva informazioni sull’avanzata dell’esercito alleato e su bombardamenti imminenti. Dopo aver ascoltato la radio, capitava che il papà annunciasse: “Stanotte si va a Pioltello”. Se aveva sentore di un bombardamento imminente, al tramonto montavamo in calesse e uscivamo dalla città. Percorrevamo una strada tra i campi e arrivavamo in una cascina dove eravamo attesi.
“Sono arrivati i milanesi”, dicevano i bambini, venendoci incontro festanti.
Eravamo accolti dagli amici di papà. Di quelle poche fughe notturne ricordo soltanto i letti altissimi che raggiungevo inerpicandomi su una sedia e il caffelatte del mattino, fatto con il caffè vero, che in casa nostra non si beveva già da tempo, in cui spezzettavo il pane bianco, cui non ero abituata, perché in città trovavamo soltanto il pane giallo fatto con la farina di mais, che aveva una crosta nera e amara.
Rammento anche un mattino d’estate in cui mamma e nonna mi scrutarono preoccupate e diagnosticarono: “ La tusetta la gà i vermi”. Infilarono su uno spago sottile tanti spicchi d’aglio, ne fecero una lunga collana e me la misero al collo.
“Puzza”, dissi io.
“ Così fa scappare i vermi”, rispose la mamma.
“Dove scappano?”, domandai.
“Nel vasino, quando ti ci siedi sopra”, spiegò.
Tornai a giocare, ma non mi sentivo bene. A un certo punto scesi dall’altalena, il mio gioco preferito, mi nascosi dietro un cespuglio e vomitai tutta la colazione. La nonna mi vide e disse: “hai vomitato i vermi, che invece di uscire da un buco sono usciti dall’altro”.
Ma io continuavo a star male, mi sentivo rigida come un baccalà e non riuscivo quasi a respirare. Allora nonna e mamma si allarmarono. Mi tolsero la collana, mi misero a letto, mi massaggiarono braccia e gambe e io ripresi a respirare.
“Che sia stato l’aglio?”, chiese mamma.
“Non so”, fu la risposta della nonna.
Sembravano spaventate. Non sapevano della mia intolleranza a questo alimento. Credo che, all’epoca, l’intolleranza alimentare fosse una patologia sconosciuta. Per fortuna in casa nostra l’aglio si usava raramente e sempre in quantità minime. Da quel giorno lo eliminarono anche dal minestrone e dal soffritto. Del resto, non piaceva nemmeno a loro. Sono cresciuta in una famiglia dove si cucinava tutto, anche il pesto alla genovese, senza aglio e, alla fine, la mamma decise che quello era un ingrediente “ordinario”, anche per gli effetti olfattivi devastanti.
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Sveva Casati – da Il Diavolo E la Rossumata -
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