1)
In quale regione italiana si trova il Monferrato?
2) Quale città si chiamava anticamente
Partenope?
3) In quale strumento d'orientamento si trova l'ago magnetico?
4) Chi era il nonno di Cacasenno?
3) In quale strumento d'orientamento si trova l'ago magnetico?
4) Chi era il nonno di Cacasenno?
(alla fine dell’articolo: le risposte)
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno è la raccolta di tre
popolarissimi racconti (Le sottilissime astutie di Bertoldo, Le
piacevoli et ridicolose simplicità di Bertoldino e Novella di
Cacasenno, figliuolo del semplice Bertoldino), i primi due scritti da Giulio Cesare Croce e l'ultimo da Adriano Banchieri, pubblicata per la prima volta nel 1620. I racconti
riprendono e rielaborano novelle antichissime, in particolare la
medievale Disputa di Salomone con Marcolfo.
Un quarto racconto (Continuazione e fine della
storia di Cacasenno) è apparso per la prima volta in un'edizione spagnola
del Bertoldo del 1864,[1] illustrata con xilografie dell'incisore catalano
Tomás Carlos Capuz su disegni di Tomás Padró Pedret. A differenza dei primi tre
racconti, il quarto non è accreditato e potrebbe essere opera del traduttore
Juan Justo Uguet. Il quarto racconto è presente in italiano in una recente
edizione[2].
Nel Bertoldo si narra
dell'immaginaria corte di re Alboino a Verona e delle furberie di Bertoldo, contadino rozzo di modi, ma di
mente acuta, che finisce per diventare consigliere del re. Bertoldo è affiancato nelle sue imprese dalla
scaltra moglie Marcolfa e dal
figlio sciocco Bertoldino.
Nel racconto di Banchieri il protagonista è invece lo
stolto Cacasenno, figlio di Bertoldino, il quale crescendo ha messo un po' di
giudizio.
Principio narrativo comune ai racconti di Bertoldo,
Bertoldino e Cacasenno è la contrapposizione tra la vita semplice dei contadini
e quella artificiosa e vana dei cortigiani. 'Bertoldo' è passato poi a
indicare, per antonomasia, il contadino rozzo, ma saggio e
dotato di senso pratico.
La contrapposizione tra i due mondi è evidenziata
dalla morte di Bertoldo. Il re Alboino era così ammirato dall'ingegno del
contadino da volerlo sempre accanto a sé, pertanto gli impose di vivere a
corte. Questa vita non era adatta a Bertoldo, che aspirava a tornare a zappare
la terra e a mangiare i cibi semplici a cui era abituato (soprattutto rape e
fagioli). Il re non comprese le motivazioni di Bertoldo, che finì per ammalarsi
e morire a causa della vita di corte.
Solo allora re Alboino comprese il suo errore, ma per
Bertoldo non c'era niente da fare, così comandò che sulla tomba di Bertoldo
fosse impresso il seguente epitaffio scritto in caratteri d'oro.
In questa tomba tenebrosa e oscura,
Giace un villan di sì deforme aspetto,
Che più d'orso che d'uomo avea figura,
Ma di tant' alto e nobil'intelletto,
Che stupir fece il Mondo e la Natura.
Mentr' egli visse, fu Bertoldo detto,
Fu grato al Re, morì con aspri duoli
Per non poter mangiar rape e fagiuoli
Giace un villan di sì deforme aspetto,
Che più d'orso che d'uomo avea figura,
Ma di tant' alto e nobil'intelletto,
Che stupir fece il Mondo e la Natura.
Mentr' egli visse, fu Bertoldo detto,
Fu grato al Re, morì con aspri duoli
Per non poter mangiar rape e fagiuoli
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