Il primo a studiare seriamente l'elettricità era
stato il fisico britannico William Gilbert, cui si deve la paternità del nome
stesso "elettricità", coniato dal greco antico elektron,
che vuol dire "ambra"; è strofinando quest'ultima con un panno che i
Greci si erano accorti delle sue proprietà magnetiche. Verso la fine del XVIII
secolo, il giovane Alessandro Volta, docente di fisica sperimentale
all'Università di Pavia, era già noto per i suoi esperimenti sull'elettricità
che lo avevano condotto all'invenzione dell'elettroforo, strumento in
grado di rilasciare elettricità per strofinio e induzione.
Negli stessi anni era salito agli onori delle
cronache scientifiche il medico bolognese Luigi Galvani, con le sue
teorie sulla presenza di elettricità nei corpi organici. Nel corso di un
esperimento su una rana si era accorto che le zampe dell'anfibio si contraevano
anche dopo la morte, dopo averle toccate con la punta di uno scalpello; di qui
era arrivato a teorizzare l'esistenza di un'elettricità animale, tesi
accolta con entusiasmo da tutto il mondo accademico. Eccetto uno.
Volta non era affatto convinto che le cose
stessero così e per lui quel fenomeno si spiegava con il contatto di metalli
diversi. Ne nacque un'aspra diatriba che spaccò il mondo accademico in due
fazioni, Galvaniani e Voltiani. Prevalsero le ragioni di questi
ultimi, anche se il tempo restituì dignità scientifica alle tesi di Galvani,
oggi riconosciuto come lo scopritore dell'elettricità biologica. Volta, dal
canto suo, trasse dalla polemica maggior impulso a proseguire le sue ricerche.
Un articolo letto sul Journal of Natural
Philosophy lo mise, involontariamente, sulla buona strada. L'autore, e
suo collega, William Nicholson lo invitava apertamente a perfezionare
l'elettroforo, partendo dai risultati di recenti test effettuati sulle
torpedini, pesci cosiddetti elettrofori (ovvero in grado di produrre campi
elettrici). Il suggerimento erroneo era di utilizzare un disco di resina e uno
di metallo, da strofinare con pelle di gatto.
Accortosi dell'errore, Volta trasse lo spunto
giusto da quella lettura, provando a moltiplicare i contatti tra metalli
diversi. Nel 1799 realizzò due colonnine di legno, impilando all'interno di
ognuna coppie di metalli conduttori diversi, nella fattispecie dischetti di
zinco e rame separati da strati di feltro imbevuto di una soluzione salina,
così da produrre un fluido elettrico continuo. Completava l'opera un filo di
rame che metteva in contatto le due estremità, facendo circolare e rilasciando
corrente.
Era di fatto un primo prototipo di generatore
statico di elettricità, una sorta di progenitore di quelle che oggi chiameremmo
batterie. Il nuovo dispositivo, inizialmente indicato come apparato
elettromotore, venne esposto da Volta in una lettera inviata al presidente
della Royal Society, Joseph Banks, il 20 marzo del 1800. Quel documento
rappresentò la prima dimostrazione ufficiale del funzionamento della "pila
di Volta" o pila voltaica, come venne identificata
successivamente.
Il mondo scientifico comprese di trovarsi
davanti a una svolta epocale: per la prima volta aveva a disposizione uno
strumento in grado di produrre corrente in modo ininterrotto, aprendo di fatto
all'era dell'elettricità e a ricadute tecniche formidabili. Nel
corso del secolo questo fu il punto di partenza per numerose scoperte, tra cui
il telegrafo elettrico, la lampadina, la radio.
La fama di Volta varcò in poco tempo i confini
nazionali ed europei e tra i riconoscimenti ottenuti entrò nella storia la
dimostrazione della pila al cospetto di Napoleone Bonaparte, che ne
rimase affascinato a tal punto da offrirgli la Legion d'Onore e
un cospicuo premio in denaro.
s://www.mondi.it/almanacco/voce/308003
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